Da disney channel a teatro con Jacopo Sarno

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JACOPO: Bisogna fare un rewatch.

MICHELE: Ma anche per te stesso, no?

Per rivedere gli albori.

JACOPO: È interessante perché non lo guardavo. MICHELE: Davvero?

JACOPO: Non stavo lì a riguardare le puntate che avevo girato.

Le giravo e magari se accendevo Disney Channel beccavo altro.

MICHELE: Ok, certo.

JACOPO: Magari guardavo la puntata dei “Maghi di Waverly”.

MICHELE: Adoravo. JACOPO: Perché mi piaceva.

MICHELE: Li adoravo.

JACOPO: A 18 anni non stavo tutto il giorno attaccato…

MICHELE: E sì, poi col tuo lavoro immagino.

Eri e sei tanto impegnato, è un lavoro che ti impegna molto.

Infatti vorrei parlare anche di questo.

Cosa vuol dire essere un attore? Perché tu ovviamente sei un artista completo.

Come ho detto prima, sei un attore, doppiatore, anche ballerino come hai detto prima,

un cantante.

Ma principalmente possiamo dire attore?

JACOPO: Sì, diciamo principalmente…

Allora, in parallelo attore e cantautore.

MICHELE: E cantautore.

JACOPO: Cantautore nel senso che scrivo le mie canzoni.

Quando escono dei dischi o faccio dei concerti, di solito sono canzoni mie.

MICHELE: Cosa vuol dire essere un attore in Italia?

JACOPO: Eh vuol dire… è dura. MICHELE: È dura.

JACOPO: È molto dura.

Bisogna essere in grado di affiancare la propria professione…

Allora, intanto bisogna dire che io sono fortunatissimo.

Perché poter fare…

Di attori ce ne sono tanti e ce ne sono di bravissimi.

Quando tu sei diplomato in un’accademia,

laureato al Piccolo per esempio,

o sei un attore che ha una certa esperienza,

tu sei un professionista.

Ma non tutti i professionisti riescono a vivere facendo solo questo mestiere.

MICHELE: È vero, sì.

JACOPO: Perché è durissima.

Quindi quando certi colleghi dicono:

“Noi in un giorno prendiamo lo stipendio di un mese.”

Sì, intanto tu che sei 1 su 1 milione.

Anzi, su 6 milioni.

Poi, quante volte all’anno succede questa cosa?

Magari fai una posa in un film,

è chiaro che è pagata molto di più di una replica teatrale.

Ma la tournée in teatro magari sono 50 date.

Ma oltre quelle 50 date, quando finisce la tournée che cosa fai?

Stai a casa?

È un problema, non ce la fai, non ci stai dentro.

MICHELE: Sì.

JACOPO: Quindi è molto difficile l’obiettivo di chi vuol fare l’attore,

ma così come anche di chi fa musica.

Io ho avuto…

Scusami, faccio un passo indietro.

MICHELE: Sì, vai.

JACOPO: Ho avuto un rapporto di amore e odio con i social.

Perché solo quest’anno mi sono messo sui social?

Intanto non esistevano quando facevo televisione,

ma quando ero su Disney Channel,

iniziavano ad esserci i primi gruppi su Facebook.

C’erano solo Myspace e Facebook, Instagram non esisteva ancora.

E c’erano dei gruppi che mi volevano morto, per esempio.

JACOPO: C’erano gruppi di odio… MICHELE: I primi haters.

JACOPO: Pesantissimi, con commenti pesantissimi.

Li leggeva mia madre e ci rimaneva male.

Io dicevo: “Mamma non leggere, io non ci entro neanche, non voglio vedere.”

Ora ricominciando a postare,

qualcuno di questi haters si è risvegliato. MICHELE: È uscito fuori.

E ti dirò, gli ho dato il benvenuto.

Ho detto: “Mi siete mancati!” MICHELE: Esatto.

JACOPO: La cosa divertente è che uno,

non so chi, non ricordo, però si Instagram ogni tanto vedi il commento.

Ogni tanto mi faccio un giro perché poi scrivono un sacco di cose belle

che mi fanno tanto piacere.

Ogni tanto becchi quello che scrive la cattiveria. MICHELE: Eh sì.

JACOPO: Uno di questi mi scrive “La prof. di corsivo è più famosa di te.”

E io gli ho risposto:

“La fama e il successo personale non sono la stessa cosa.”

Io faccio questo mestiere con continuità,

prima che la professoressa nascesse.

Nel senso che la cosa veramente difficile non è diventare famosi.

Diventare famosi è facilissimo.

MICHELE: È vero.

Oggi con i social possiamo dire che è facilissimo, però rispetto a una volta…

JACOPO: Facilissimo nel senso che tu puoi fare il trend giusto

e tutti parlano di te.

Ma quanto dura?

Ti dà da mangiare?

Il punto è questo: sei capace di costruire un mestiere?

Una professione?

Hai studiato per fare una professione e portarla avanti?

La cosa più difficile per un lavoratore

del settore dello spettacolo, così includiamo tutti,

non è entrare a far parte di un giro.

Poi i giri sono molteplici e alla fine il mondo dello spettacolo non esiste.

Esiste chi gira in certi ambienti,

esiste il mestiere,

esiste chi lo fa per anni, o chi per un mese o un anno.

Il punto è che il vero successo professionale è riuscire

a campare facendo il mestiere che ami, qualunque esso sia,

e a farlo sul lungo periodo.

MICHELE: Eh sì, è vero.

JACOPO: Questa è la grande difficoltà.

Perché io quando lavoravo per Disney Channel

c’erano gli articoli di giornale,

c’era un sacco di movimento.

Non mi piace parlare di fama, preferisco chiamarla esposizione mediatica.

Perché è una cosa che sale e scende e va a periodi.

La grande fortuna,

e mi do un po’ di merito nell’essermi fatto un mazzo così,

è che dal 1995

ho iniziato a fare questo mestiere con Delia Scala di cui ti parlavo prima,

siamo nel 2023 e sto ancora facendo questo mestiere.

Questa è la mia grande fortuna.

Poi è vero che anche io arrotondo facendo altro.

Ma questo è ovvio, lo devono fare tutti. MICHELE: Certo.

JACOPO: A meno che tu non sia Al Pacino.

MICHELE: Sì, è vero.

JACOPO: Lasciamo stare quelli che stanno nell’Olimpo.

Elio Germano, bravissimo.

Probabilmente non ha bisogno di aggiungere altre cose.

Io ho imparato durante il lockdown,

avevo un piccolo studio di registrazione con dei soci,

poi lo studio lo abbiamo chiuso

a un certo punto.

E io facevo produzioni musicali.

Ma lavoravo sempre col fonico.

Ho iniziato a prendere lezioni, ho imparato a fare…

ovviamente se devo mixare un brano lo mando a un fonico vero,

però ho iniziato a fare anche questo.

Arrangiamenti, produzioni musicali, mix di podcast.

MICHELE: Ecco, vedi.

JACOPO: Sono cose che faccio quotidianamente.

Infatti mi porto in tournée le cuffie, il computer, la scheda audio…

di solito anche il microfono, ma a questo giro viaggiavo leggero in aereo

e non ho portato il microfono perché sono via dal 2 al 6.

MICHELE: Non aveva senso.

JACOPO: Non mi chiederanno di incidere un voice over in cinque giorni che sto via.

MICHELE: Certo.

Però sì, come hai detto tu

dipende anche da chi sei, cosa fai,

se sei Al Pacino ovviamente puoi campare solo di quello.

È normale, no?

Sei una star hollywoodiana, hai fatto solo quello,

hai fatto film di super successo, ci può stare.

Però mi metto anche io nei tuoi panni

e nel mio caso io non faccio solo podcast.

In un certo senso sono dei lavori in cui devi creare

qualcosa di costante e duraturo.

E non è facile.

E nei social, come hai detto tu, la fama può arrivare subito,

però poi devi mantenere la cosa e creare

qualcosa sia di profittevole che duraturo,

sia un qualcosa che ti piaccia fare.

Quindi mescolando il tutto a volte può sembrare facile, ma non lo è.

Mia sorella per esempio lavora nei social, è una tiktoker.

Infatti mi ha avvisato lei.

“Hai visto che è tornato Jacopo Sarno?”

Perché lei ha una bella pagina su TikTok.

E mi fa: “Cavolo!”

Poi ho visto che avevi anche una pagina su Instagram

e ti ho contattato subito.

E anche lei, ovviamente la fama c’è, però devi mantenere la cosa.

E non è facile.

JACOPO: Ci sono nuovi modi di comunicare

e bisogna sfruttarli facendo qualcosa.

Sai chi è bravissimo?

MICHELE: Dimmi.

JACOPO: Che stimo tanto, vabbè è anche un amico,

quindi se parlo bene di qualcuno vuol dire che è anche una bella persona.

È bravissimo ed è stato bravissimo a passare dall’essere trendy,

cioè dall’essere trendsetter diciamo,

all’essere uno con un’esperienza, un mestiere alle spalle non indifferenti.

Francesco Sole.

MICHELE: Francesco Sole, sì.

JACOPO: Francesco Sole è bravissimo.

A parte che è una persona di una grandissima profondità.

È piacevolissimo starci assieme e tutto il resto.

Ma lui è uno degli autori dei top seller.

Uno dei libri più venduti è il suo ultimo uscito.

Sta infilando un successo dopo l’altro

a livello editoriale.

MICHELE: Questo non lo sapevo.

JACOPO: Poi ha tutta la parte social che fa parte del suo percorso

e fa parte della sua immagine, del suo profilo artistico però.

Questo è per me l’esempio di uno

che ha usato i canali nuovi

in modo intelligente

costruendo veramente un mestiere solido.

MICHELE: Che poi, Francesco Sole è uno di quei personaggi che ha avuto tantissimi haters.

Sui social. JACOPO: Tantissimi.

MICHELE: Ed è ammirevole come, nonostante tutto,

abbia avuto la forza di continuare e creare qualcosa di solido, no?

Non è facile.

A volte, come dici tu, dicevi a tua madre di lasciar stare.

Però sai, lascia stare oggi, lasciare stare domani…

per alcune persone questa cosa può diventare pesante.

È ammirevole.

JACOPO: Io adesso me li coccolo gli haters.

Perché ho scritto e prodotto una canzone

per le Donatella.

È uscita due estati fa.

Si intitolava “Moralisti su Pornhub”.

Ovviamente è un pezzo dell’estate

che è nato dal…

Perché non fare una canzone visto che c’è tutta sta gente

che vi bombarda con i peggiori commenti?

Perché non dedichiamo una canzone a loro?

Perché non li prendiamo in giro fino in fondo?

Infatti c’è una parte del testo che dice:

“I tuoi commenti mi fanno pubblicità.”

Perché tu commenti le robe, ma alla fine…

stai venendo sotto il mio profilo a commentare.

MICHELE: A creare engagement.

JACOPO: Eh, engagement. MICHELE: È vero, è così.

JACOPO: È scemo due volte. MICHELE: Esatto.

MICHELE: Sì, la cattiva pubblicità funziona.

La usa anche Elon Musk.

La usano un sacco di persone.

Quindi diciamo che

è sempre pubblicità.

Che sia cattiva o buona, ti porta…

JACOPO: Sì, questo diciamo razionalmente. MICHELE: Certo.

JACOPO: Poi è anche vero che il cyber bullismo è terribile.

Ed è vero anche che, per quanto tu possa essere confident,

cioè tu sai quello che vali, sai che fai un mestiere,

sai che non ti scalfisce nulla,

ma comunque leggere certi commenti po’ male fa.

MICHELE: Sì, è un commento dove ti augurano la morte. JACOPO: Un po’ male fa.

JACOPO: Se fa male a te che magari in quel momento sei una persona di successo,

pensa quanto può far male a uno che invece…

MICHELE: Un ragazzino. JACOPO: Ero contento

di come stavano andando le cose quell’anno.

MICHELE: È vero, sono d’accordo.

Non tutti siamo uguali: c’è chi è più forte, chi meno.

Ovviamente il cyber bullismo è un problema.

Una volta quando non c’erano i social,

tu facevi i tuoi prodotti, recitavi al cinema o nelle serie tv,

forse gli haters li sentivi di meno.

Perché difficilmente sentivi questa cosa, ma adesso…

JACOPO: Non ti potevano contattare direttamente.

MICHELE: Oggi tutti possono esprimere la loro opinione.

Da un lato è una cosa molto bella,

perché tutti possiamo esprimere la nostra opinione,

ma dall’altra parte può essere pericolosa come cosa.

Se non è controllata.

Quindi è così purtroppo.

Però va bene, ci prendiamo il bello e il brutto di ogni cosa.

Quello che alla fine ci sta regalando internet, anche il fatto di poter imparare qualcosa,

una lingua, qualsiasi cosa, no?

Possiamo imparare a suonare uno strumento,

possiamo imparare a doppiare, possiamo veramente fare tutto online.

In modo diverso, però…

Ci sono dei lati positivi e negativi del lavorare o vivere nei social, no?

È così. Vabbè dai.

Prendiamo quello che ci capita.

JACOPO: Viviamo in questo momento storico. MICHELE: È normale.

Sicuramente cambierà.

Migliorerà, peggiorerà, non lo so.

Però il momento è questo e va vissuto, no?

Quindi è normale.

Io ti ringrazio per questa opportunità, davvero.

Avrei voluto parlare molto di più con te, ma magari più avanti ti ricontatterò

perché secondo me hai tantissime cose da raccontarci.

JACOPO: Grazie. MICHELE: E poi come ho detto prima,

dietro le quinte per me è stato anche un piacere averti qui perché fai parte della mia infanzia

come anche tanti miei coetanei, no?

Perché vivevo su Disney Channel quando avevo 10-12 anni.

Tu hai 30 anni adesso? 31?

JACOPO: 33.

MICHELE: Sì, allora fai parte della mia infanzia perché io ne ho 25.

JACOPO: Ma sono ancora l’italiano di Zack e Cody.

MICHELE: Esatto. JACOPO: Sono sempre l’italiano di Zack e Cody.

MICHELE: Potete trovare tutti i link dei canali social di Jacopo,

anche per praticare il vostro italiano,

e perché no?

Anche andare a recuperare un po’ di prodotti nei quali ha recitato Jacopo, tanti film.

Anche con Fantozzi hai recitato se non erro, in passato.

JACOPO: Sì, tanto tempo fa.

MICHELE: Con Paolo Villaggio.

Bene, quindi grazie ancora Jacopo.

MICHELE: Grazie per l’opportunità. JACOPO: Grazie a te.

MICHELE: E ti auguro buone feste, visto che siamo vicini alla Befana.

JACOPO: Buone feste anche a te e ci vediamo a teatro spero.

MICHELE: Mi piacerebbe un sacco.

MICHELE: Ciao, grazie a tutti. JACOPO: Ciao, in bocca al lupo.

#6: Come sono diventata un influencer

Study this video as a lesson on LingQ: https://www.lingq.com/en/learn/it/web…

MICHELE: Buongiorno, buon pomeriggio e buona sera.

Io sono Michele e questo è il podcast in italiano di LingQ.

Nell’intervista di oggi avrai modo di conoscere Valentina,

meglio conosciuta come “lapitonz”.

Un’influencer con più di un milione di follower su TikTok

e quasi 300.000 iscritti sul suo canale YouTube.

Insomma, ha molti seguaci.

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Benvenuti a un nuovo episodio del podcast in italiano di LingQ.

Oggi avrò il piacere di fare due chiacchiere con Valentina,

in arte “lapitonz”.

Valentina, oltre ad essere mia sorella, è anche una tiktoker molto famosa in Italia.

Infatti è seguita da più di 1.200.000 utenti su TikTok.

Per non parlare del suo canale YouTube che conta quasi 290 mila iscritti.

Insomma, lapitonz in questi ultimi mesi ha raggiunto risultati incredibili.

Oggi Valentina è qui per raccontarci la sua esperienza nel mondo social,

cosa vuol dire essere un influencer,

quali sono le difficoltà e le soddisfazioni di questo lavoro.

Bene, benvenuta Valentina.

MICHELE: Grazie di essere qui con noi. VALENTINA: Ciao.

VALENTINA: Grazie mille a te Michele.

Sono contenta di essere qui e non vedo l’ora di essere intervistata.

MICHELE: Di parlare un po’ insieme.

VALENTINA: Come?

MICHELE: Per parlare un po’ insieme e conoscere meglio… VALENTINA: Sì, certo.

MICHELE: la tua esperienza. VALENTINA: il mio mondo.

VALENTINA: Il mondo dei tiktoker.

MICHELE: Presentati un attimo, dicci chi sei in generale

e poi ti farò delle domande più specifiche per quanto riguarda

il tuo lavoro, la tua passione.

Ok?

VALENTINA: Va bene.

Ciao a tutti, sono Valentina.

Ho 27 anni

e vivo in provincia di Verona.

Ho origini siciliane, si sente.

MICHELE: Sì dai, un po’ si sente.

Valentina, come me, è di origini siciliane, siamo nati entrambi in Sicilia.

Si sente poco dai, non è così forte.

VALENTINA: No dai, quello no.

MICHELE: Per uno studente straniero è difficile riconoscere un accento.

VALENTINA: Certo. MICHELE: Certo.

MICHELE: Però dai, sei comprensibile.

Sei comprensibile.

VALENTINA: Grazie mille.

Beh, mi sono presentata, ho detto la mia età,

di dove sono.

MICHELE: Ok vado avanti io. VALENTINA: Aspetto le tue domande.

MICHELE: Va bene.

Allora io andrei subito

con l’argomento che ti riguarda in generale

quindi TikTok.

Perché hai scelto TikTok

per condividere i tuoi contenuti?

VALENTINA: TikTok in realtà non è una scelta.

Diciamo che nel periodo della quarantena,

quando non sapevo cosa fare in Italia,

tutti erano a casa e io…

Va beh che ho sempre avuto la passione di far video

da quando ero piccolina.

MICHELE: È una passione che hai da tanto tempo.

VALENTINA: Da tantissimo tempo, sì.

Però durante la quarantena

ero sempre lì al telefono, capito?

Non facevi nulla, sei sempre a casa, cosa dovevi fare?

Ero sempre lì al telefono e a un certo punto ho scaricato TikTok.

Perché vedevo che tutti quanti avevano sto TikTok.

L’ho scaricato e ho detto: “Ma perché non inizio a caricare anch’io dei video?”

Ho iniziato con i doppiaggi.

facendo doppiaggi comici per i bambini.

Facevo tipo doppiaggi di cartoni animati

usando la mia voce.

E dopo piano piano ho fatto vedere la mia faccia.

Perché vedevo che con i doppiaggi non riscuotevo tantissimo successo.

Fcevo tante visualizzazioni, però non era ancora quello che volevo io.

Volevo far vedere la mia faccia, cosa c’era dietro…

MICHELE: Sì, con i doppiaggi non potevi fare…

VALENTINA: Era più un passatempo.

MICHELE: Ok, certo. VALENTINA: Che una passione vera e propria.

MICHELE: È iniziato tutto come un passatempo, non come un obiettivo.

Non avevi un obiettivo…

VALENTINA: Prima era un passatempo, poi dopo…

Dopo un po’, quando ho iniziato a mettere dei video con la mia faccia…

inizialmente copiavo un po’ i tiktoker.

Facevo i video classici dei tiktoker,

mettere una scritta e fare un po’ il lipsync.

MICHELE: Video che erano molto in tendenza.

Durante la pandemia. VALENTINA: Sì.

VALENTINA: Però vedevo che non facevo tantissime visualizzazioni.

E ho detto:

se già con il doppiaggio, con la mia voce,

“recito”,

perché non lo faccio facendo vedere la mia faccia?

Queste cose le facevo in passato su YouTube.

Le ho fatte su Facebook.

Perché non lo faccio anche su TikTok?

Un giorno mi sono messa a fare un video in cui facevo la mamma e la bambina.

La bambina in bagno

che doveva essere pulita dalla mamma,

perché da piccoli… MICHELE: Ok.

VALENTINA: …si ha bisogno della mamma.

Quel video mi è andato super virale.

500.000 visualizzazioni.

Io ero tipo “Oh mio Dio!”. MICHELE: Wow.

MICHELE: Quindi il video è esploso. VALENTINA: È esploso, sì.

MICHELE: Ha generato 500 mila visualizzazioni.

VALENTINA: Sì, ero piena di notifiche,

iscritti, commenti.

Io ero lì tipo “Oh mio Dio!”.

MICHELE: Quindi un successo inaspettato.

VALENTINA: Sì, io non me l’aspettavo una roba del genere.

MICHELE: Questo quando? All’inizio della pandemia?

VALENTINA: Proprio all’inizio, 2020. MICHELE: Ok, ok.

MICHELE: Quindi all’inizio della pandemia hai iniziato a pubblicare video su TikTok.

E dopo un po’ questa fama è arrivata così, dal nulla.

MICHELE: Dal nulla. VALENTINA: Dal nulla, sì.

MICHELE: Un pizzico di fortuna, magari? O anche…

VALENTINA: Ma a me è sempre piaciuto

crescere sui social.

Perché a me piace avere

non successo, ma mi piace far ridere le persone, ok?

Mi piace che per merito mio siano felici, contente.

Che per merito mio le faccio ridere. MICHELE: Stiano bene.

Si divertano.

MICHELE: In generale. VALENTINA: Che si diverano, sì.

MICHELE: Bene. VALENTINA: E niente…

È sempre stato il mio sogno, diventare famosa

per quello che mi piace fare che è la recitazione

anche se non l’ho mai studiata.

MICHELE: Hai coniugato la passione per la recitazione

insieme alla tua voglia di farti conoscere e far divertire le persone.

VALENTINA: Sì. MICHELE: Tutto questo si è, diciamo…

hai raccolto tutte queste cose insieme su TikTok.

Inizialmente diciamo. VALENTINA: Sì.

MICHELE: Questa cosa è diventata più virale dal 2020,

però mi hai detto che prima hai avuto esperienze su Facebook, YouTube.

Già da tanto tempo c’era questa passione. VALENTINA: Sì, facevo video.

Era da tanto tempo. MICHELE: Quanti anni?

Da quanti anni hai questa passione più o meno?

VALENTINA: Dalla separazione dei miei genitori.

Da quando avevo 14 anni. MICHELE: 14 anni.

VALENTINA: Se posso dirlo, penso che si può dire.

Io ho iniziato con mio fratello.

MICHELE: Certo, abbiamo iniziato insieme.

VALENTINA: Abbiamo iniziato perché i nostri genitori si erano mollati

e noi dovevamo… MICHELE: Per divertimento.

VALENTINA: Dovevamo evadere dai pensieri negativi.

Quindi cosa abbiamo fatto? Tu hai iniziato a mettere dei video su YouTube

davanti una telecamera con cui ti riprendevi

e mi sono messa in mezzo.

Da lì è nato tutto. MICHELE: È nato tutto.

Però è che tu

hai fatto quel video nel 2020 che ha generato 500 mila visualizzazioni,

ma non è questione di fortuna.

Perché parliamo di anni e anni

di rinunce, di prove.

Quindi diciamo che hai provato per tanti anni a fare questo

senza magari un risultato.

VALENTINA: Senza risultato.

Per tanti anni ho provato a far video.

Per tanti anni copioni…

Impegno… MICHELE: Certo.

VALENTINA: Montaggi, pubblicazioni…

però non riscuotevo un risultato.

Forse perché pubblicavo su dei social,

come Facebook,

che ora è un po’ da adulti.

Il mio pubblico è giovane.

Ci sono tanti ragazzini, bambini che mi seguono.

magari anche i miei contenuti non andavano bene per un pubblico come Facebook.

Invece YouTube adesso è tutta un’altra storia perché hanno messo gli shorts.

Sono cambiate tante cose rispetto a tanti anni fa.

MICHELE: Ci sono ovviamente dei metodi differenti.

Prima su Facebook pubblicavi video più lunghi.

MICHEL: Adesso invece… VALENTINA: Sì, tipo cinque minuti…

MICHELE: Adesso invece, da quando è nato TikTok,

ma anche prima di TikTok,

c’era un social media che si chiamava Vine. VALENTINA: Vines, sì.

MICHELE: In America era molto popolare.

Anche in Italia, ma non tanto.

Però i vine venivano ripubblicati

su YouTube o su Facebook.

Penso che TikTok si sia un po’ ispirato

a Vines, presumo.

VALENTINA: Può essere, certo.

MICHELE: Però comunque siamo arrivati qui oggi.

A questo risultato.

Quindi nello specifico,

quali sono i contenuti che porti nei tuoi canali social?

Perché ovviamente tu non hai solo

TikTok, ma hai anche YouTube

e anche Instagram.

Quindi hai tre piattaforme diverse.

In queste piattaforme porti gli stessi contenuti? Come ti organizzi?

VALENTINA: Allora, su TikTok

porto contenuti in cui recito, faccio la mamma e la figlia.

Ogni tanto pubblico qualcosa che può essere per un pubblico più grande,

per un pubblico più adulto, diciamo.

Cerco di non avere un solo tipo di pubblico,

ma cerco di differenziare, si può dire?

MICHELE: Sì, vuoi diversificare.

VALENTINA: Diversificarlo, certo. MICHELE: Certo.

VALENTINA: Poi anche tipo… su TikTok sempre scenette comiche.

Su YouTube ricarico i video di TikTok, che già pubblico.

E in più faccio video lunghi.

Proprio per un pubblico di bimbi su YouTube.

Ho fatto caso a questa cosa.

VALENTINA: Su YouTube mi seguono bambini. MICHELE: Hai fatto un’analisi.

VALENTINA: Sì, perché lo noto dai commenti,

dalle visualizzazioni che ho dei video, in base ai video che metto.

Quindi capisco che pubblico ho.

Su YouTube è veramente piccolo.

Anche in base alle persone che mi fermano.

Quando un bambino mi ferma, mi dice “ti seguo su YouTube”

io vedo che il target

è piccolino, capito?

Lo noto anche dalla gente che mi ferma.

MICHELE: Perché con tutti questi follower,

hai dei fan che ti fermano per strada

e ti chiedono una foto. VALENTINA: Sì.

VALENTINA: Quando vado al supermercato, almeno una persona mi riconosce.

Non c’è una volta che esco e nessuno mi riconosce.

Sempre qualcuno mi riconosce.

MICHELE: È una soddisfazione questa, di essere riconosciuta.

VALENTINA: Sì, a me piace tantissimo.

Magari c’è gente a cui dà fastidio

il fan che ti ferma.

Invece a me fa piacere.

Anzi sono stra contenta se mi fermano e mi chiedono la foto.

Sono sempre disponibile.

MICHELE: È sempre bello vedere il risultato

del lavoro che stai facendo.

Perché se un fan ti ferma,

ti chiede una foto,

vedi che quel fan ti segue, ti supporta,

sa quello che fai.

Quindi è una grande soddisfazione secondo me.

VALENTINA: Sì, e poi su Instagram

cerco di avere un pubblico più grande.

Facendo dei reels, perché su Instagram ci sono i reels.

MICHELE: Certo.

VALENTINA: Io sfrutto i reels che sono simili ai video di TikTok.

Video di un minuto.

MICHELE: Certo.

VALENTINA: A volte anche meno.

I video per adulti mi vanno.

Adulti sempre sulla comicità comunque.

E ogni tanto carico anche i video di TikTok.

Ultimamente sto caricando video di TikTok che mi stanno andando virali su Instagram.

Anche lì mi fanno molte visualizzazioni.

MICHELE: Poi alla fine è una cosa che va di pari passo.

Se riesci a generare un tot di follower che ti seguono

poi è una catena di montaggio, la cosa va avanti e non si ferma più.

Ovviamente la costanza è importante, no?

VALENTINA: Certo. MICHELE: Soprattutto nei social.

VALENTINA: È vero. Io a volte ho dei periodi in cui mi devo fermare

e noto che c’è differenza.

MICHELE: Sì, i risultati cambiano. VALENTINA: Vedo che alcuni non mi seguono più.

La gente pensa “questa non pubblica più niente”.

Invece bisogna stare sempre lì.

Costanti, se no non vai avanti.

MICHELE: Nel mondo dei social devi seguire quello che l’algoritmo chiede.

VALENTINA: Sì, esatto. MICHELE: L’algoritmo vuole che tu debba pubblicare tot contenuti.

E tu devi farlo perché…

VALENTINA: Sì, l’algoritmo ti premia.

Più ti vede attivo, più ti premia.

È qua che pubblica sempre, poveretta.

MICHELE: E manda anche i video in tendenza.

Certo.

Pensi che TikTok sia più performante rispetto a Instagram?

Pensi che sia una piattaforma migliore rispetto a Instagram?

VALENTINA: Sì, secondo me sì.

Secondo me TikTok è meglio per farti conoscere.

Anche Instagram ultimamente con i reels ti permette di farti conoscere,

però TikTok, secondo me, ha un algoritmo migliore.

Come spinge i video,

come ti fa andare nei Per te,

una pagina dedicata ai video virali.

Poi TikTok ha un pubblico

che non è tipo quello di Facebook, dove trovi gente frustrata

che dice “Che schifo questo video”,

“Ma andate a lavorare”.

Questo su TikTok non lo vedi.

MICHELE: Non lo vedi perché magari ci sono più giovani che usano la piattaforma.

MICHELE: Può essere per quello. VALENTINA: Può essere, è per quello.

VALENTINA: La gente su Facebook non sa cosa fare.

Non per criticare i quarantenni, però è vero.

MICHELE: Ci sono molti adulti su Facebook.

Inizialmente Facebook era una piattaforma utilizzata da tutte le età, quasi tutte.

Almeno dagli adolescenti.

Anche io lo utilizzavo di più.

Però dopo Instagram, TikTok,

è come se tutto si fosse diversificato.

Quindi un target di persone utilizza Facebook.

VALENTINA: Sì, bravo. MICHELE: Dai 40 ai 60 anni usano Facebook.

Dai 30 ai 60 anni.

Instagram è più dai 20 ai 30, magari.

TikTok invece sta raggruppando tutte le età vedo.

VALENTINA: TikTok sì, ma ci sono anche tiktoker adulti,

tiktoker medici che parlano.

Su Tiktok se hai un problema, trovi il video.

Subito.

VALENTINA: C’è di tutto. MICHLE: Trovi tutto.

MICHELE: Il bello di internet è questo,

cioè puoi trovare tutte le info che vuoi, anche se bisogna stare attenti

a ciò che troviamo sul web. VALENTINA: Sì, certo.

MICHELE: Perché magari non tutte sono veritiere e utili.

Quali sono invece i tuoi obiettivi con YouTube?

Perché hai anche un canale YouTube molto forte.

Però è una cosa recente questa.

VALENTINA: Sì, YouTube è recente.

All’inizio anche io caricavo video su YouTube.

Cioè ora, quando sono uscita con TikTok.

Però all’inizio i miei video non riscuotevano il risultato che avevo su TikTok.

Caricavo video di TikTok di un minuto e niente.

Dopo tre mesi dalla pubblicazione di quei video

apro YouTube e vedo 300 mila, 200 mila visualizzazioni.

Ma che cosa è successo?

MICHELE: Sì, vedevi dei risultati…

VALENTINA: Ma io per caso ho aperto YouTube e ho visto tutte quelle visualizzazioni.

Perché i miei video non li caricavo come un video normale,

ma YouTube me li caricava in modalità shorts.

Ora c’è questa nuova cosa.

Come Instagram ha i reels,

TikTok ha i tiktok,

YouTube ha gli shorts che sono video di massimo un minuto

che YouTube sta spingendo tantissimo.

YouTube li spinge: più usi shorts più YouTube ti fa crescere.

Più ti fa conoscere.

MICHELE: Un po’ come ha fatto TikTok in passato.

VALENTINA: Ecco, sì.

VALENTINA: Con YouTube, grazie agli shorts, sono cresciuta.

Perché caricavo e carico shorts

e mi vanno tantissimo virali.

A volte molto più di TikTok.

Conta che su YouTube faccio quasi 1 milione di visualizzazioni al giorno.

VALENTINA: Totali. MICHELE: Non parliamo di poco.

VALENTINA: Sono tantissimi. MICHELE: È un’intera città.

MICHELE: Un’intera metropoli praticamente.

VALENTINA: Io questo mese, settembre,

ho fatto 25 milioni di visualizzazioni totali.

Solo nel mese di settembre.

MICHELE: Wow. VALENTINA: Sono tantissime.

MICHELE: Mamma mia, più degli abitanti della Nuova Zelanda.

Non ricordo, però alcuni Paesi…

praticamente è una nazione, anche di più.

È pazzesco.

È difficile, anche io lavoro nei social

quindi vediamo tutti questi numeri

però dobbiamo ricordare che dietro ogni numero c’è una persona.

No?

Se dovessimo mettere tutte queste persone in una stanza…

MICHELE: Non ci starebbero. VALENTINA: Non ci starebbero.

MICHELE: Dovresti metterle, nel tuo caso, in uno Stato intero.

È una cosa pazzesca se ci pensi.

VALENTINA: Io a volte ci penso e dico:

“Mamma mia, ma quanta gente mi conosce”.

MICHELE: 25 milioni di persone

hanno visto un tuo video.

O dei tuoi video, quindi è pazzesco.

Vuol dire che quasi la metà della popolazione italiana ha visto i tuoi video.

Sì perché siamo 60 milioni più o meno.

Quindi pazzesco.

VALENTINA: È tanto.

Quello che ho fatto di più…

MICHELE: No, scusami. VALENTINA: Cosa?

MICHELE: In un anno tutta questa esplosione?

Su YouTube intendo.

VALENTINA: Di YouTube un anno, sì.

A gennaio

no scusami, a novembre…

quasi un anno, un anno perfetto diciamo.

MICHELE: Un anno perfetto, un anno pieno.

Stavi dicendo? Scusa ti ho interrotta.

Stavi dicendo?

VALENTINA: Stavo dicendo che io adesso ho fatto 25 milioni, ok?

Però alcuni mesi ho fatto 31 milioni in un mese.

MICHELE: Pazzesco, numeri che probabilmente non vedrò mai.

VALENTINA: Facciamo anche contenuti diversi.

MICHELE: Certo, è una nicchia differente, un settore differente.

VALENTINA: Diciamo che il mio settore forse è più…

non so… facile no, eh.

perché comunque devi essere… MICHELE: No, facile no.

MICHELE: Però l’intrattenimento è diverso.

VALENTINA: È diverso. MICHELE: Perché tu lavori nell’intrattenimento.

MICHELE: L’80% del tempo che passiamo sui social

spesso è per intrattenerci, per divertirci.

Quindi quando vai su TikTok, in genere non vai per

guardare un video di cultura.

VALENTINA: Ma per passare il tempo. MICHELE: Per staccare la spina.

MICHELE: Staccare la spina, divertirti e non pensare a niente, no?

Quindi l’intrattenimento funziona.

VALENTINA: Sì.

MICHELE: Ma c’è qualcosa che non ti piace di questo lavoro?

Perché sicuramente ci saranno tante cose che ti piacciono,

ma ci sarà almeno una cosa che non ti piace.

MICHELE: Che devi fare. VALENTINA: Ma…

VALENTINA: Di fare no, perché tutto ciò che faccio mi piace.

Se no non lo farei.

MICHELE: Dell’ambiente di questo lavoro c’è qualcosa che non…

VALENTINA: Del settore a volte magari non mi sento

a mio agio… non so, magari devo andare a un evento,

ci sono altri tiktoker,

persone del mio target.

MICHELE: Del tuo calibro. VALENTINA: Sì, del mio calibro.

VALENTINA: Non mi sento a mio agio.

Perché vedo quelle persone che se la tirano,

si credono molto chissà che,

si credono superiori, capito?

io questa cosa di credermi superiore non ce l’ho.

MICHELE: Sei più umile. VALENTINA: Sono molto alla mano.

VALENTINA: Queste persone sono completamente diverse da me, capito?

Anche se ci sono persone che hanno meno follower di me

e per loro sono una star pazzesca.

MICHELE: Certo. VALENTINA: E si credono chissà che.

VALENTINA: È questo che non mi piace molto.

VALENTINE: Che le persone cambiano. MICHELE: Molte persone…

MICHELE: Molte persone pensano che quando hanno 100 mila follower

si sentono chissà chi.

In un certo senso si sentono super famose

se la tirano come hai detto tu.

Magari tu sei più umile.

Possiamo dire.

VALENTINA: Sì, sicuramente sì.

MICHELE: Quindi non ti fai condizionare da… VALENTINA: No.

MICHELE: Da questo numero di seguaci.

Esatto.

Può sembrare una cosa facile, ma secondo me

non è così facile.

Non farsi condizionare da questi numeri.

VALENTINA: No assolutamente, non è facile.

Ci sono persone che appena iniziano a vedere

50 mila follower si credono famosi.

All’inizio anche io facevo cosi,

ma la mia era felicità, non era tirarmela.

MICHELE: Esatto.

MICHELE: Non era un vantarti troppo di questa cosa.

VALENTINA: Era felicità, ero contenta.

Su questa cosa,

la cosa che mi dà fastidio è che tanta gente che magari mi conosce,

o che mi conosceva

pensa che… hanno dei…

pensano male di me.

Pensano “Eh, guarda quella lì dove è andata a finire”.

“Se la tira”.

“Adesso è famosa, non caga più nessuno”.

A me dà fastidio questo.

Quello che pensa di te la gente perché sei arrivata a qualcosa.

MICHELE: L’opinione delle altre persone…

non sempre dobbiamo ascoltare le opinioni altrui.

VALENTINA: No, quello no.

MICHELE: Però la gente giudica.

VALENTINA: Però quando qualcuno che ti conosce pensa questo di te

non è bello, capito?

Sono poche le persone che…

MICHELE: Però succede.

VALENTINA: Però sì, succede.

MICHELE: C’è un po’ di invidia.

VALENTINA: Ecco sì, c’è molta invidia in giro.

MICHELE: L’invidia arriva, è normale.

Poi soprattutto nei social è facile trovare degli haters.

VALENTINA: Guarda, sinceramente io non ho tantissimi haters.

Veramente pochi.

Se tu apri un mio video

e guardi i commenti,

forse su

su 500 commenti

30 sono negativi.

MICHELE: Ok, il resto sono positivi.

VALENTINA: Ho una percentuale bassissima. MICHELE: È una cosa buona.

VALENTINA: Non so se è perché sono bambini che mi seguono.

Forse i bambini fanno meno commenti negativi.

Poi non so.

MICHELE: Può essere.

VALENTINA: Però non ho tantissimi haters.

MICHELE: Bene, un’ultima domanda.

C’è qualche consiglio che potresti dare a un neofita?

Una persona che non è esperta di questo mondo?

Magari un nostro ascoltatore vuole iniziare

a creare contenuti su TikTok, ad esempio.

Quali sono i consigli più utili

per iniziare, continuare e avere successo su TikTok?

VALENTINA: Prima di tutto devi trovare un format.

Cioè devi crearti il tuo format

che può essere comicità, video vlog,

video di cucina, ok?

Stare su quella linea lì.

Fare delle prove, cioè provare a pubblicare dei video.

E vedere come vanno.

Magari un po’ diversi, fatti in diverso modo.

E vedere i risultati.

Se i risultati non vanno bene, vuol dire che stai facendo qualcosa di sbagliato.

Quindi devi continuare a vedere come va. MICHELE: Provare.

VALENTINA: Provare, riprovare, vedere se c’è qualcosa che non noti,

ma può essere il montaggio, la ripresa, come ti poni davanti alla telecamera.

O guardare delle persone che fanno video che vuoi fare tu simili

e prendere ispirazione.

MICHELE: Questo non vuol dire copiare.

VALENTINA: No, ispirazione.

Ispirarti e farlo a modo tuo.

Mai copiare, ma personalizzarlo.

MICHELE: certo.

Sono d’accordo con questo.

Cioè molto spesso tutti dicono di non avere idee originali,

di non sapere da dove partire.

Però se pensiamo a un’idea…

pensiamo all’idea di una persona che fa video nei supermercati.

Magari non c’è solo una persona che fa questo.

Ci sono tante persone che fanno questo tipo di video, in generale.

Tu puoi fare questo video in 1000 modi altri diversi, no?

MICHELE: Come hai detto tu. VALENTINA: Certo.

MICHELE: Quindi un’idea può essere modificata in tantissimi altri modi.

Stessa cosa per quanto riguarda l’insegnamento dell’italiano,

qualsiasi cosa.

Perché ognuno ha la sua personalità, il suo modo di fare, il modo di parlare.

Il vantaggio di creare contenuti su internet è che

abbiamo un sacco di scelte.

Possiamo scegliere un sacco di argomenti.

Puoi fare video su tutto. Per esempio, hai la passione di tirare con l’arco?

Apriti un canale dove fai vedere come tiri con l’arco.

VALENTINA: Sì.

MICHELE: Ti piace mangiare hamburger tutti i giorni?

Fai un video su quello.

Ci saranno sicuramente delle persone che ti seguiranno per quello.

VALENTINA: Certo.

Secondo me è bello anche fare dei video sulla tua passione.

Per esempio, la mia passione è recitazione, mi piace recitare?

Sfogo la mia passione sui social.

Tu magari sei un personal trainer, ok?

Puoi spiegare sui social come fare un esercizio.

Perché alle persone piace tanto vedere video dove imparano.

MICHELE: Sì, l’apprendimento.

VALENTINA: Bravissimo.

Io molte volte vado su internet a vedere delle cose che non so fare

e voglio imparare.

Quindi cosa faccio? Vado a vedere dei video dove posso imparare.

Quelli, secondo me, sono dei video molto interessanti da fare.

MICHELE: Certo, sono d’accordo.

VALENTINA: Se studi qualcosa,

puoi metterla sui social. MICHELE: Se sei esperto in…

MICHELE: in qualcosa, magari puoi condividere questa tua esperienza sui social.

Ad esempio, sei un esperto di pesca, ti piace pescare,

puoi far vedere come pescare nel modo corretto un pesce, ad esempio.

Io non so niente di pesca, ok?

MICHELE: Però sarebbe interessante. VALENTINA: Sarebbe interessante, sì.

MICHELE: Scoprire qualcosa.

Quindi in realtà, ci sono tantissime possibilità online.

Questa è una cosa che tanti non hanno capito ed è un peccato.

Forse più in Italia.

Forse all’estero è una cosa più comune.

Ma in Italia sta esplodendo adesso, in questi ultimi anni, no?

E ancora tante persone sono contrarie al mondo dell’online.

Ma secondo me, puoi creare benissimo una tua attività online.

Per esempio, sei un dentista, no?

Puoi fare dei video dove spieghi qualcosa…

VALENTINA: Tu non sai quanti dentisti fanno video su TikTok.

VALENTINA: Tantissimi. MICHELE: Sì, dentisti, ginecologi.

MICHELE: Quindi in questo modo puoi promuovere anche la tua attività.

Quindi non per forza devi fare dei video divertenti.

Puoi fare video su qualsiasi cosa.

Che siano video, che siano articoli, podcast, quello che vuoi.

VALENTINA: Sì.

MICHELE: Bene Valentina.

Grazie mille per aver raccontato la tua esperienza. VALENTINA: Grazie a te.

MICHELE: È sempre interessante. VALENTINA: È stato un piacere.

MICHELE: Sì, un grandissimo piacere. Magari potremmo rifare un’altra chiacchierata

con qualche altro tiktoker.

MICHELE: Sarebbe interessante condividere… VALENTINA: Certo.

MICHELE: fare una conversazione. VALENTINA: Se vuoi io ho un po’ da dartene.

MICHELE: Assolutamente.

Anche perché è un mondo in continua crescita.

Ci sono sempre delle novità.

È bello anche scoprire questo tipo di mondo che abbiamo,

perché esiste, è presente ed è bello anche scoprire queste cose, no?

VALENTINA: Sì.

MICHELE: Grazie ancora Vale. VALENTINA: Grazie a te.

MICHELE: Io ricordo a tutti gli ascoltatori che potete trovare il link del canale YouTube

de lapitonz, della pagina di TikTok, di Instagram,

tutto sotto questo video, ok?

MICHELE: Perfetto. VALENTINA: Va bene, grazie mille Michele.

MICHELE: Ciao. VALENTINA: Ciao a tutti, è stato un piacere.

VALENTINA: Alla prossima, ciao. MICHELE: Ciao.

#5: La voce di Vegeta, Marshall e Gordon

Study this video as a lesson on LingQ

MICHELE: Buongiorno, buon pomeriggio e buonasera.

Io sono Michele e questo è il podcast in italiano di LongQ.

Oggi avremo il piacere di conoscere Gianluca Iacono,

un famoso doppiatore italiano

che ha prestato la sua voce a personaggi molto popolari di serie TV

come Vegeta di Dragon Ball, Marshal Eriksen di “How I met your mother”,

Gordon Ramsay.

Ha lavorato anche in tantissime serie Tv,

film, videogiochi.

Insomma, una persona che ha un’esperienza molto grande,

circa 30 anni, se non di più.

Ma prima di iniziare voglio consigliarti uno strumento molto utile

per migliorare in italiano e in altre lingue

ovvero LingQ.

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Benvenuti in questo nuovo episodio in italiano del podcast di LingQ.

Oggi avrò il piacere di parlare con Gianluca Iacono.

Un famoso doppiatore italiano che ha prestato la sua voce

a personaggi molto popolari di serie TV

come Vegeta di Dragon Ball,

Marshal Eriksen di “How I met your mother”,

e Gordon Ramsay, lo chef inglese famosissimo

in tutti i suoi programmi in Tv.

Intanto grazie mille di essere qui, per me è un onore.

GIANLUCA: Grazie a te, piacere mio. Bentrovato e bentrovati.

MICHELE: Oggi avremo il piacere di conoscere un po’ meglio

il percorso di Gianluca, il suo mestiere

perché questo mestiere è molto importante in Italia.

Forse in alcuni Paesi questo è meno comune,

però in Italia è molto popolare.

Ovviamente hai un sacco di fan che ti seguono.

GIANLUCA: Sì, parecchi.

MICHELE: È una cosa comune, non solo te.

Abbiamo tantissimi doppiatori famosi in Italia e Gianluca è uno di questi.

Hai più di 30 anni di esperienza alle spalle.

GIANLUCA: Esatto, sì.

Poi da quando ho deciso di diventare social

perché prima non lo ero,

questo è certo che poi ti apre al pubblico.

Sono più famoso di altri anche perché ho deciso di far vedere

la mia brutta faccia agli altri. MICHELE: Ma dai!

MICHELE: Però sì, perché lavorando nel mondo del doppiaggio

la faccia è una cosa che non si vede

ed entrando nel mondo dei social

si riesce a capire chi ci sta dietro tutto questo lavoro.

Io partirei con la prima domanda dell’intervista.

Come è iniziato il tuo percorso in questo lavoro di doppiatore?

GIANLUCA: Ti dico una cosa che ho già detto altre volte ma ripeto volentieri.

Nel senso che tendenzialmente, ma nel mio caso sicuramente perché lo so,

diciamo che non mi reputo un doppiatore.

Io mi reputo un attore.

Un doppiatore di per sé non esisterebbe.

È come dire “io sono un musicista jazz”.

Sì, ma sono un musicista.

È un po’ la stessa cosa.

Quando ho cominciato nemmeno sapevo cosa fosse il doppiaggio.

Anche perché io sono del 1970, ho iniziato a studiare dizione nel 1982.

Quindi ho iniziato a fare le primissime cose, RAI, doppiaggio, che ero piccolissimo.

Avevo 13 nel 1983.

Non esisteva internet, non c’erano i social.

Nessuno sapeva cosa fosse il doppiaggio, a meno che tu non fossi un doppiatore

o un amico di doppiatori.

La mia idea ovviamente…

la mia indole era quella di recitare in generale,

di fare l’attore, cosa che poi ho fatto.

Mia madre ha captato qualcosa,

quindi si è detta la classica cosa “o lo portiamo da uno bravo

oppure gli facciamo fare qualcosa che ha che fare con la recitazione”.

Non hanno scelto lo psichiatra ma una scuola di dizione.

MICHELE: Ok.

GIANLUCA: Poi recitazione e poi è arrivato il doppiaggio

quasi subito, ma mischiato a tante altre cose,

al teatro, alla radio.

MICHELE: C’è stato prima un percorso formativo, hai studiato dizione,

hai studiato recitazione anche.

Prima di fare questo lavoro.

GIANLUCA: È obbligatorio.

Per fare doppiaggio nello specifico è ancora più importante.

Già quando uno fa teatro viene per imparare a usare la voce, parlare in dizione.

Ma quando sei al microfono, dove tutto è talmente preciso al dettaglio

la tecnica è fondamentale, l’aspetto dizione and company.

MICHELE: Certo. Quindi qual è stata la prima volta che hai messo piede in una sala doppiaggio?

Dove hai lavorato proprio in uno studio di doppiaggio.

Su quale progetto iniziale? Quand’è che hai iniziato?

GIANLUCA: Il mio ricordo è dell’83.

Nell’82 feci il corso di dizione.

Il mio insegnante, che è un po’ mentore, era un attore famoso

che a Torino aveva messo su questa scuola

e da lì sono usciti parecchi attori e non di Torino.

Tutti quelli che hanno lavorato nel teatro, nel cinema,

nel doppiaggio, tutto insieme, sono usciti da lì.

Dopo un annetto che io avevo imparato a parlare abbastanza in dizione,

mi ero tolto quell’accentaccio da torinese figlio di meridionali,

quindi una roba proprio…

che è la maggior parte dei bambini di Torino di quel periodo.

Cercavano dei bambini per fare doppiaggio

dei primi prodotti che arrivavano dalle Tv locali dell’epoca

perché parliamo dell’83.

Stava nascendo Fininvest, c’erano le prime televisioni private.

MICHELE: Certo.

GIANLUCA: Rai 1, Rai 2, Rai 3, finiva lì.

MICHELE: Poi è arrivata Mediaset.

GIANLUCA: Fininvest, all’epoca si chiamava Fininvest.

MICHELE: Ah, è vero.

Non ero ancora nato.

GIANLUCA: Col biscione.

E nascevano le prime televisioni private appunto.

Gold, Eurogoldest, non mi ricordo come si chiamavano…

Telelombardia, tutte le televisioni varie.

Io abitavo a Torino però.

Comunque queste televisioni vogliono dei prodotti.

Quindi compravano film anche di serie B, un po’ di tutto…

…serie, sceneggiati.

E quindi mi trovai a doppiare questo bambino,

un bambino in un telefilm.

MICHELE: Ok.

GIANLUCA: Mi ricordo quello, poi avrò fatto anche altre cose miste

Però all’inizio

ho rotto il ghiaccio con quello.

MICHELE: Ok, piccoli lavoretti insomma.

GIANLUCA: Esatto.

MICHELE: Per fare un po’ di esperienza nel campo.

Il primo progetto serio qual è stato?

GIANLUCA: Il primo progetto serio

fra virgolette

è quando mi diedero un personaggio in una telenovela.

MICHELE: Ok.

GIANLUCA: Andavano fortissimo, anche per tutti gli anni 90.

Facevano una telenovela, di quelle che andavano su Rete 4,

ammesso che si chiamasse già Rete 4, ma credo di sì,

una telenovela in cui facevo un personaggio.

Non era un protagonista, ma facevo un personaggio.

Anche lì ero acerbo come non so cosa,

però poi mi sono sciolto.

MICHELE: Ti sei sciolto.

GIANLUCA: Questo era Torino ovviamente.

Poi iniziai ad andare a Milano nel ’90 tipo.

nel 1988/1989 intanto andavo a Milano

provavo a farmi sentire, facevo qualche brusìo su “Sentieri”,

la famosa soap opera.

MICHELE: Ok.

GIANLUCA: Poi dal ’90 al ’91 andai in Merak Film.

Ero piaciuto e quindi ho inziato a fare delle cose,

cartoni, serie Tv, ecc…

GIANLUCA: E poi da lì… MICHELE: E poi da lì…

GIANLUCA: Nel ’93 ho fatto il mio primo personaggio in un anime,

nel ’92 i Sailor Moon.

Tutto sempre alternandolo, però, con tanto teatro,

con tanto teatro cabaret, con un po’ di progetti.

Per quello non mi reputo un doppiatore.

MICHELE: Certo.

GIANLUCA: Sono un attore che lavora molto nel doppiaggio.

MICHELE: Certo.

Secondo te un doppiattore ha più esperienza rispetto a un attore

a livello professionale?

Visto che un doppiatore sta dietro un leggio

e deve poi doppiare un personaggio.

Secondo me c’è più esperienza da questo punto di vista.

GIANLUCA: Diciamo che c’è una richiesta tecnica di un certo tipo.

Soprattutto sulla voce che è il veicolo con cui si recita.

Ci sono delle specifiche in più

che l’attore di teatro non ha necessità di avere.

Nel senso che quando si fa doppiaggio bisogna essere pulitissimi

nell’articolazione.

Un attore che dice “témpo” o “sénza” come si dice a Milano,

non se ne accorge nessuno.

Se li sbaglia tutti sì, ma ogni tanto sbaglia un accento non è che andrà…

Nel doppiaggio “sénza” non si può dire.

Ogni regione ha la sua e non si può sbagliare in dizione

E inoltre, c’è poi il fatto di passare,

entrare nel personaggio con una velocità che non è richiesta in teatro.

Magari nel cinema un po’ di più, però nel cinema ti studi la parte prima.

Nel doppiaggio no.

Nel doppiaggio entri, la vedi, la fai.

E devi capire subito che cosa stai facendo.

E magari in una giornata fai cinque personaggi.

Sei personaggi.

Una cosa che nel cinema non farai mai.

Ne fai cinque o sei in un anno.

MICHELE: Sì, sì. È vero.

Nel doppiaggio uno lavora tanto, può succederti in una settimana

di fare dieci personaggi diversi, perché magari tante cosine…

fai una cosa piccola, poi una grossa,

però magari fai un vampiro, un dottore, un pesce, un saiyan.

MICHELE: Esatto.

GIANLUCA: Quindi bisogna essere molto versatili

e avere una tecnica molto solida.

MICHELE: Sì, la dizione è fondamentale. Perché poi ovviamente

se ci pensiamo, quando guardo un film doppiato

mi concentro molto di più sulla dizione.

E questo contenuto viene distribuito in tutta Italia e deve avere un italiano standard.

Non può avere una cadenza regionale, lombarda, veneta.

GIANLUCA: Eh, certo.

Perché sarebbe un po’ come se uno decidesse…

Negli Stati Uniti il doppiaggio di per sé, come c’è da noi, non c’è.

Ma è come se tu guardassi un film e un attore parlasse in texano, un altro…

MICHELE: Esatto.

GIANLUCA: In certi film lo fanno, ma per scelta di avere…

accenti diversi, come succede anche nei film italiani.

MICHELE: Sì, è vero.

GIANLUCA: Però se devi doppiare un cartone animato,

non credo che anche in America prendano uno con l’accento del Texas,

o con l’accento wisconsin.

È improbabile.

MICHELE: È vero, è vero.

GIANLUCA: Uno non deve riconoscere… perché se no entri subito… capito?

MICHELE: Sì.

GIANLUCA: Immaginati Vegeta in napoletano.

MICHELE: È stupendo.

Me lo potresti fare per favore?

Giusto due secondi, una battuta.

GIANLUCA: Maledetto Kaarat.

Ti ho detto un sacco di volte che non mi devi scassare le scatole.

Ora ti faccio un Big Bang Attack

e t’accappotto.

MICHELE: Esatto.

GIANLUCA: Diventa un’altra cosa

MICHELE: Dovresti fare un video su Youtube riguardo a questo.

Magari Vegeta con vari accenti italiani.

O Gordon Ramsay, o non so.

Sarebbe fighissimo.

GIANLUCA: È una cosa che dovevo fare.

Fra i tanti progetti ci sarebbe anche questo.

MICHELE: Esatto. Un Vegeta siciliano,

oppure veneto.

Sarebbe fighissimo, lo guarderei stravolentieri.

Ma cosa vuol dire essere doppiatore in Italia?

Quali sono i pro e i contro di questo lavoro in questo Paese, secondo te?

GIANLUCA: Considera che negli anni è anche un po’ cambiato tutto.

Tanto quanto è cambiato il nostro Paese.

È cambiata l’economia, è cambiata la tecnologia.

Quindi anche questo lavoro.

Per forza di cose.

Quindi nel doppiaggio nello specifico

i pro sono sicuramente che è un lavoro molto bello.

Se uno è portato e gli piace è un lavoro appassionante doppiare.

È una specifica della recitazione

che è molto affascinante.

Infatti attrae un sacco di persone che vorrebbero studiare doppiaggio.

Il fatto di poter fare 1000 cose con la voce,

perché con la voce si possono fare un sacco di cose,

è molto affascinante.

I pro sono sicuramente che è un lavoro

che tutto sommato, una volta che entri, la difficoltà è quella di entrare.

Una volta che entri e sei consolidato come un bravo professionista affidabile,

si lavora abbastanza.

Poi dipende anche dove vivi.

Il doppiaggio in Italia si fa a Roma, Milano e Torino.

Ogni tanto c’è qualcosina qua e là, ma…

robe più solide sono lì.

MICHELE: Devi spostarti per fare questo lavoro.

Se non vivi a Roma, Milano o Torino. Esatto.

GIANLUCA: Magari ci sono scuole di doppiaggio nate un po’ ovunque,

in Sicilia, in Campania, in altri posti.

Però chi la fa deve essere consapevole del fatto che poi deve decidere…

MICHELE: Di spostarsi.

Infatti tu vivi a Milano, giusto?

GIANLUCA: Sì, vivo a Milano. Sono nato a Torino, vivo a Milano da 22 anni.

MICHELE: Ok.

GIANLUCA: Quindi niente, sto qui. Mi va bene stare qua.

Potevo anche scegliere di andare a Roma.

Però non l’ho fatto. Ci vado ogni tanto a doppiare,

a fare delle cose.

I pro sono che se il lavoro gira bene, si guadagna più di un lavoro

basic, standard.

Non è un lavoro in cui diventi… se vuoi diventare ricchissimo c’è altro.

Però si vive dignitosamente.

MICHELE: Beh, sicuramente è una professione interessante.

Infatti tantissimi giovani vogliono fare questo lavoro.

Un po’ come la rock star.

Almeno in Italia penso sia così.

Anche compagni di classe che ho avuto in passato,

tanti mi hanno detto “Voglio provare questa professione”.

Ma perché poi rimani affascinato.

Cresci con queste serie Tv, come Dragon Ball nel mio caso.

Io ho visto tutti gli episodi di Dragon Ball

e per me anche adesso è un’emozione parlare con te in questo momento.

Fissato di “How I met your mother”,

e ovviamente di fronte a me ho la voce di Marshall.

È come se tu fossi una rock star.

Italiana, ma esatto. È così.

GIANLUCA: Però diciamo che, come tutti i lavori artistici,

non puoi deciderlo solo con la testa,

non puoi dire “voglio fare quello perché è figo”. MICHELE: Esatto.

GIANLUCA: È come i bambini quando dicono “io voglio fare l’astronauta”.

Ho capito… MICHELE: Eh certo.

GIANLUCA: Non è che ti metti una tuta e vai.

Devi farti un mazzo così a studiare aeronautica e quant’altro.

Insomma c’è un percorso lungo.

E il doppiaggio anche.

C’è l’attore, poi specializzandoti di più nella voce,

è come studiare uno strumento musicale.

Vuoi imparare a suonare la chitarra per strimpellare con gli amici,

o vuoi diventare un chitarrista vero?

Perché è diverso, eh. MICHELE: È diverso.

GIANLUCA: Fare il chitarrista vero vuol dire studiare tanto.

MICHELE: Sì. Poi puoi avere una bellissima voce,

però se non sai usarla… è come avere una Gibson ok?

GIANLUCA: Bravo. MICHELE: Di Angus Young.

Ma se non sai suonarla questa chitarra…

diventa difficile come cosa, no?

GIANLUCA: È una cosa che anche io dico sempre.

Puoi avere un pianoforte da 100.000 euro,

bellissimo,

ma poi non lo sai suonare e che te ne fai?

MICHELE: Esatto.

Magari hai tutto questo talento che non sai sfruttare.

Magari c’è qualcuno che non ha una voce così bella,

ma hanno una buona tecnica.

E allora in quel caso lì

riescono a fare questo lavoro, no?

GIANLUCA: È un po’ come dire che la voce corrisponde al fisico, no?

Non è che uno deve essere bello per fare l’attore.

Deve essere bravo per fare l’attore. MICHELE: Vero.

GIANLUCA: In Italia va be’, nel mondo parallelo delle fiction

a volte conta più il bello del bravo.

Ma purtroppo in Italia ci sono delle regole un po’…

che non condivido, mettiamola così.

MICHELE: Ok.

Ma tu preferisci doppiare un contenuto rispetto a un’altro,

ad esempio videogiochi, film, serie Tv.

Cosa ti piace doppiare di più?

GIANLUCA: Le robe che mi danno più soddisfazione

in realtà sono i film.

MICHELE: Ok.

GIANLUCA: Doppiare un bravo attore in un film.

Perché lì metti in gioco tutto il tuo essere un bravo attore.

Quindi è importante. MICHELE: Certo.

GIANLUCA: Un bravo attore ti dà la possibilità

innanzitutto di essere fedele al lavoro che ha fatto lui,

ma di seguire delle sfumature…

se il lavoro è fatto bene diventa molto interessante

attorialmente parlando.

Con un cartone animato ti diverti, con un videogioco anche.

Che poi si doppia anche in maniera un po’ diversa.

Ti diverti.

Però per uno che

che si sente attore davvero, il film è la massima soddisfazione.

MICHELE: E a livello lavorativo cambia qualcosa?

Cioè rispetto a doppiare un film o un videogioco,

o una serie Tv.

A livello tecnico, lavorativo.

È più difficile, è più facile?

GIANLUCA: Hanno difficoltà diverse.

Nel senso che, se tu doppi un cartone animato

o un anime, che poi alla fine insomma…

i cartoni animati giapponesi si chiamano anime.

MICHELE: Non vogliamo offendere nessuno.

Quindi chiamiamoli anche anime.

Esatto.

GIANLUCA: È una cosa che ho iniziato a dire da un po’

ma perché lo dico anche in pezzo di stand up dal titolo

“Ma tu sei Vegeta”.

E qui dico: “I giapponesi che non sanno parlare benissimo l’inglese,

quando in realtà la parola è animation, hanno detto animatiòn.

Hanno sbagliato l’accento e diventa “anime”. MICHELE: Esatto.

GIANLUCA: Animation è il prodotto di animazione, cioè cartone animato.

Ma va be’.

Però dicevo, i cartoni animati di per sé

danno più spazio alla creatività.

Al fatto di inventarsi delle cose

che non stanno né in cielo né in terra, come si dice.

Perché sono cose che non esistono.

Le cose che fa Vegeta non esistono.

Le cose che fa, che ne so…

un personaggio che si allunga, esplode e poi si ricompone

non esiste nella realtà e tu devi pensare a come dargli una voce.

Quindi o ti appoggi alla lingua che senti in cui è stato doppiato prima,

in inglese o altro,

o decidi, come nel mio caso di Vegeta, come farlo tu.

Decidi tu, anche parlandone con il direttore di doppiaggio, che strada prendere.

MICHELE: Eh be’, sì.

GIANLUCA: Mentre invece in un film devi ascoltare quello che ha fatto l’attore.

Perché è una questione di rispetto di un collega che ha fatto un ruolo.

Quindi non ti inventi una cosa di sana pianta.

MICHELE: E un videogioco invece?

GIANLUCA: Un videogioco è più complicato

perché noi non vediamo quasi mai quello che facciamo.

MICHELE: Ok, niente!

GIANLUCA: Quasi mai niente, a parte qualche cinematic del gioco.

Mi è successo in Far Cry 5

di vedere… MICHELE: Qualche scena.

GIANLUCA: Sì, qualche scena.

Però in generale noi doppiamo sulla forma d’onda.

Tanto ormai tutti sanno cos’è un programma audio.

MICHELE: Sì.

GIANLUCA: Tu registri sulla forma d’onda.

Nella forma d’onda io ho quella dell’inglese che ha registrato quella frase lì

e io la rifaccio in italiano andando in sync con la forma d’onda.

MICHELE: Ok.

GIANLUCA: Battuta dopo battuta, lungo tutto il percorso del…

MICHELE: È un po’ noioso come lavoro in questo caso non vedendo niente?

GIANLUCA: Dipende da cosa fai.

Ci sono delle volte che sì.

Nel senso che se devi fare un gioco di guerra o uno un po’ ripetitivo,

e quindi devi fare tutta una serie di cose…

Ho fatto per esempio…

tanto è di pubblico dominio quindi lo posso dire,

il commentatore dell’ultimo gioco di formula 1.

MICHELE: Ok, figo.

GIANLUCA: In cui però ho fatto tutte le varianti possibili come si fa nei giochi.

Dipende chi vince, chi perde e cosa succede.

MICHELE: Mamma mia!

GIANLUCA: Tutte le varianti in cui

“e il nostro Leclerc non è riuscito purtroppo ad arrivare in fondo”,

“e il nostro…”, ecc. E lo fai per tutti.

Quindi diventa meno creativo, ma più seriale.

Quindi dopo un po’ mi addormento. MICHELE: Sì, esatto.

GIANLUCA: Ci sono state delle volte veramente in cui

ripetendo tantissime cose per tre ore,

perché un turno dura tre ore circa,

che dopo un po’ davvero facevo: [inaudible].

Andiamo, dai forza!

Così.

Per me è meccanico ormai, quindi…

uno che ha appena cominciato sarebbe lì, così.

Con gli occhi sbarrati. MICHELE: Ah beh, sì certo.

GIANLUCA: Io ormai, va be’.

MICHELE: Però tre ore, sembra impegnativa come cosa.

Anche perché stiamo usando la nostra voce.

È stancante anche a livello fisico.

GIANLUCA: Ecco perché bisogna saperla usare,

perché se no ci si stanca molto più in fretta.

MICHELE: Sì, esatto. Perdi la voce dopo nemmeno 10 minuti.

GIANLUCA: Immaginati un gioco di guerra, un Call of Duty,

dei vari che ci sono.

E tu devi urlare: “GRANATA!”

“SPARIAMO!”

“FORZA!”

Tutto il tempo così.

Se non la sai usare, cinque minuti…

MICHELE: Esatto, poi ti va via la voce.

Sì è vero, mamma mia.

Un’ultima domanda riguardo sempre al doppiaggio.

C’è un personaggio in particolare che ti piacerebbe doppiare in futuro?

Un attore, o un personaggio di qualche film, serie Tv.

Non so, hai un’idea?

GIANLUCA: Mi piacerebbe doppiare…

MICHELE: O magari qualcosa che deve ancora uscire.

Anche un film Marvel che vogliono fare in futuro.

GIANLUCA: Un supereroe non mi dispiacerebbe,

visto che ho sempre avuto un animo un po’ dark.

Soprattutto quando ero ragazzino, ora meno ovviamente.

Batman o Joker,

che sono poi due facce di una stessa medaglia.

Batman nel suo essere così, con la voce più…

grattata.

MICHELE: Beh, tu hai una voce profonda.

Quindi insomma…

GIANLUCA: Poi se uno ci gioca un po’, la voce uno può farla

puoi fare Marshal che è una cosa,

o puoi fare Gordon che è un’altra, quindi…

O Joker, che è un pazzo scatenato e allora anche lì…

i pazzi sono sempre…

MICHELE: Eh sì.

Delle belle sfida da affrontare.

MICHELE: È anche difficile da recitare.

Perché devi immedesimarti.

GIANLUCA: Perché poi il pazzo, come anche l’ubriaco nei film,

spesso il rischio è di cadere nella macchietta.

Per macchietta intendo lo stereotipo.

Cioè faccio l’ubriaco in questo modo qui.

Questo è il classicone standard.

Farlo invece in maniera un po’ più originale richiede un lavoro…

MICHELE: È vero. Perché se no diventa una cosa monotona

sempre vista e rivista e allora è diverso.

Il prodotto finito è più bello se è più originale.

GIANLUCA: Più vai a fondo da un punto di vista…

più è bravo l’attore che lo fa.

Voglio dire, Joaquin Phoenix nell’ultimo Joker

per me è stato superbravo.

Quindi confrontarsi con uno così…

eh beh. MICHELE: È un’altra storia.

GIANLUCA: Tanta roba.

MICHELE: Mi puoi fare un lampo finale giusto per chiudere questa intervista?

Per soddisfazione…

Ti faccio perdere la voce.

Magari c’è qualcuno che sta dormendo, non so.

GIANLUCA: Non la perdo, più che altro faccio perdere l’udito

a chi magari accende il video e non se lo aspetta.

MICHELE: Va bene, quindi preparatevi.

GIANLUCA: Dai.

Lo faccio breve.

Dico che lo faccio breve e poi lo faccio lungo. MICHELE: E lo fai lunghissimo.

Lampo finale!

MICHELE: Ok, brividi.

Ho la pelle d’oca.

Grazie mille.

Ma stai ancora urlando? Oh, è così…

GIANLUCA: Mi sono fermato. MICHELE: Non ho più sentito da quanto era forte.

Comunque grazie mille per aver accettato l’invito per questa intervista.

È stato un piacere.

Anche parlare del mondo del doppiaggio è super interessante.

Avremo anche altri doppiatori/attori

perché secondo me è un mondo

dove la cultura italiana è molto forte, secondo me.

Quindi è anche figo scoprire questo settore.

Perché secondo me all’estero non è così conosciuto,

non è così popolare, comune.

Invece in Italia è una cosa diversa.

GIANLUCA: Piccola cosa prima di lasciarci. MICHELE: Certo.

GIANLUCA: Ho debuttato a giugno, ma lo farò quest’anno

di sicuro a Milano, poi a Roma

con lo spettacolo “Vegeta è morto e l’ho ucciso io”,

che è una dissacrazione di questo mio rapporto con Vegeta,

in cui però parlo anche di doppiaggio,

di cosa vive un doppiatore che torna a casa la sera

e pensa di aver lasciato il lavoro in studio e invece le voci lo perseguitano,

lo inseguono sempre.

Quindi è uno spettacolo comico, però con una seri di spunti di riflessione.

Il 10 e 11 gennaio lo faccio a Milano al Martinitt.

La prima settimana di febbraio lo faccio a Roma nel Teatro De’ Servi.

MICHELE: Io ovviamente lascerò i link del tuo canale Youtube,

della tua pagina instagram sotto questo video.

Ovviamente se hai un link per… GIANLUCA: Assolutamente sì.

GIANLUCA: Ho un Linktree, ti mando quello. MICHELE: Perfetto.

Perfetto, così poi me lo mandi e metto tutto sotto il video dell’intervista.

E niente, grazie ancora Gianluca. Davvero.

Grazie di tutto.

MICHELE: Alla prossima. GIANLUCA: Dimmi quando esce così la vedo.

#4: Parliamo dei gesti Italiani

Michele: Buongiorno, buon pomeriggio e buonasera.

Io sono Michele.

Questo è il podcast in italiano di LingQ.

Oggi in questo episodio

parleremo di un argomento molto interessante,

ovvero i gesti italiani.

Perché sono importanti?

Perché li utilizziamo così tanto?

E soprattutto, sono utili per imparare l’italiano?

Nell’intervista di oggi

parleremo insieme a Pietro

di Italiano Avanzato

e cercheremo di scoprire di più sui gesti italiani.

Ma prima di iniziare, voglio consigliarti uno strumento molto utile

per migliorare il tuo italiano,

ma anche in altre lingue,

ovvero LingQ.

LingQ è una piattaforma, ma anche un’app

per imparare un sacco di lingue.

Con LingQ puoi imparare una lingua attraverso tantissimi contenuti,

audio, video e testi.

Inoltre, puoi ascoltare un contenuto

e leggere simultaneamente la trascrizione

per memorizzare meglio nuove parole

da aggiungere al tuo vocabolario attivo.

Puoi anche tradurre le parole che sono più difficili per te.

Con LingQ puoi migliorare una lingua con i contenuti che ti interessano davvero.

Clicca sul link nella descrizione di questo episodio

per dare un’occhiata.

Buongiorno, buon pomeriggio e buonasera.

Io sono Michele e questo è il podcast in italiano di LingQ.

Oggi sono qui insieme a Pietro di Italiano Avanzato

per parlare di un argomento un po’ divertente e anche molto italiano.

Ovvero i gesti.

ma prima di iniziare prima di fare questa chiacchierata informale,

tranquilla, divertente con Pietro…

…Pietro, presentati pure.

Dicci un po’ chi sei, presenta il tuo progetto ai nostri ascoltatori

e poi iniziamo un po’ a parlare

tranquillamente

con libertà

di questo argomento abbastanza tradizionale.

Michele: Ok? Pietro: Sì, sì.

Michele: Molto italiano anche. Pietro: Molto italiano, esatto.

Pietro: Innanzitutto grazie mille per avermi invitato.

Sono molto felice.

Io sono Pietro e sono l’ideatore e l’insegnante

dietro il progetto “Italiano Avanzato”.

“Italiano Avanzato è questo progetto dedicato

in particolar modo agli studenti di italiano

di livello B2-C1.

Un po’ quei livelli che spesso vengono bistrattati nelle scuole di lingua.

Quindi mi occupo sia delle lezioni,

della didattica,

sia di altri differenti contenuti.

Dai social fino ai podcast di italiano avanzato.

Michele: Perfetto. In sostanza ti occupi principalmente delle piattaforme social

come Instagram, Spotify, giusto?

Pietro: Sì, esatto.

Michele: E il tuo sito web.

Pietro: E il sito anche.

Diciamo che ciò su cui mi sto concentrando di più è Youtube

e le varie piattaforme di podcast.

Michele: Certo. Poi alla fine di questa intervista

potete trovare tutti i link sotto la descrizione di questo video.

Allora, direi che possiamo iniziare con l’argomento “gesti italiani”.

Pietro, tu gesticoli molto quando parli? Sei un po’ come me?

Perché io gesticolo tanto.

L’avranno notato in tanti, anche i miei studenti me lo dicono

che gesticolo davvero tanto quando parlo.

Tu? Come sei?

Pietro: Forse gesticolo più di quanto vorrei ammettere.

Michele: Ok.

Pietro: Non sempre mi rendo conto,

perché ormai è qualcosa di così naturale

che non ci sto neanche più a pensare,

neanche più lo noto.

Però sì, se devo essere sincero gesticolo molto.

E non mi sentirei

senza le mie mani,

senza i miei gesti.

Michele: Provo anche io la stessa cosa.

Ma secondo te, fa parte della lingua italiana gesticolare,

utilizzare le mani mentre parliamo, fa parte della lingua?

Secondo te.

Pietro: È una bella domanda.

Secondo me, forse più che della lingua

fa parte della cultura italiana.

Che è un concetto molto vicino comunque.

Un po’ ha anche a che fare forse con la storia dell’Italia,

come si è evoluta, i vari rapporti tra le popolazioni italiane.

Secondo me è più una questione culturale.

Tu cosa pensi?

Michele: Io penso la stessa cosa.

Abbiamo avuto molte influenze da vari Paesi.

Basti pensare alla Grecia.

La maggior parte dei gesti viene da questo Paese.

Quindi non è solo l’Italia dove si gesticola un po’.

Ci sono altri Paesi nel Mediterraneo dove questa cosa è presente.

Noi italiani ovviamente siamo più conosciuti.

Pietro: Eh, diciamo…

Michele: Siamo forse quelli che utilizzano di più le mani

quando parlano.

Ci sono sicuramente altri Paesi

dove questo è presente e forte.

Magari non sono neanche un esperto,

però dal punti di vista dell’italiano

penso che il fatto di gesticolare

sia parte integrante della lingua italiana.

Nel senso che quando impariamo l’italiano,

per gli studenti ma anche per chi vive in italia,

è un processo automatico.

Io mi rendo conto che quando faccio lezione con i miei studenti,

dopo un po’ loro iniziano proprio a gesticolare.

Non so se a te è capitata la stessa cosa.

Pietro: Sì, sì. Michele: È stranissima.

Pietro: Assimilano. Michele: Assimilano il tutto.

Pietro: Per osservazione, certo!

Michele: Esatto! Quindi quando imparano l’italiano,

iniziano a parlare, iniziano anche a gesticolare

senza che se ne rendano conto, diventa un processo automatico anche per loro.

È incredibile

come io non mi rendo conto di quello che sto facendo mentre parlo,

tipo anche adesso.

Diciamo che non sono veri e proprio gesti quelli che sto facendo,

ma a volte utilizzo i gesti

per controllare il ritmo della mia voce.

Pietro: Ma certo.

Michele: Mi aiuta molto, non so se per te è la stessa cosa.

Pietro: È esattamente la stessa cosa.

Volevo aggiungere una piccola cosa a quello che hai detto poco fa,

circa il fatto che l’Italia è il Paese dove si gesticola, è il più famoso.

Secondo me è proprio una questione storica.

Se ci pensi, l’Italia è stato il Paese più conquistato del mondo.

L’Italia è stata dominata da austriaci, francesi, arabi nel sud, spagnoli…

Per non parlare dei vari Regni che già c’erano all’interno.

E secondo me questa grande differenza multiculturale,

ci ha spinti un po’

a cercare una comunicazione alternativa alle parole.

Ok?

Michele: Sono d’accordo.

Pietro: Questo si è molto stabilizzato con il tempo.

Oggi anche io mi muovo perché

quando parlo la mia comunicazione

non è riducibile alle parole.

Le parole sono una parte della comunicazione.

E secondo me, anche l’ultima cosa che hai detto,

del fatto che aiuta un po’ a gestire le emozioni

che vuoi trasmettere,

è una cosa molto vera, perché muovendoci…

Si dice che gli Italiani, i popoli dell’Europa meridionale siano

molto passionali, molto ricchi di emozioni, eccetera.

Questo per me è legato alla gestualità.

Noi con la gestualità anche scarichiamo emozioni.

Dimostriamo quello che abbiamo nella nostra mente.

E che magari le parole non riescono a dire.

Quindi muoviamoci, diamo energia.

Michele: Ma sì! A volte può sembrare strano

perché magari alcuni studenti, stranieri o turisti

arrivano in Italia e non sono abituati a questo.

Perché non loro Paese è poco comune questa cosa.

Quindi a volte intravedono questo gesticolare,

questo modo di fare,

a volte anche violento, pesante,

a volte sembra che ci sia una discussione violenta tra due persone,

ma in realtà è semplicemente un modo di esprimere le nostre emozioni.

Perché noi non solo in italiano, ma anche in altre lingue,

noi alziamo molto la voce.

Tendiamo ad alzare molto la voce e a gesticolare molto.

In altri Paesi questo può essere percepito

come qualcosa di violento, ok?

Però secondo me fa parte della nostra cultura, è una cosa normale.

Ma sono d’accordo con quello che dici

per quanto riguarda le popolazioni.

E anche perché in Italia,

fino a 200 anni fa, 100 anni fa,

i dialetti erano molto più presenti.

E non ci si capiva.

In varie regioni c’erano dialetti diversi, come adesso.

Ma l’italiano standard non era forte e popolare come oggi.

Quindi abbiamo trovato un metodo per comunicare diverso.

Pietro: Certo. Oltre le parole.

Michele: Sì, è vero.

Ma secondo te, si gesticola di più al nord, al centro o al sud?

Dov’è secondo te la percentuale più alta?

Pietro: Questa è una domanda difficile.

Non saprei…

Io con le mie origini siciliane

conosco bene il modo di comunicare del sud Italia.

Michele: Certo.

Pietro: Sento una voce dentro di me che dice

che gli abitanti sel sud gesticolino di più.

Però non sono poi così sicuro eh in realtà.

Fa parte di tutta la cultura italiana.

Proprio per il discorso che facevamo prima,

della necessità di comunicare

tra persone,

da un contadino della Sicilia a un banchiere veneto…

Michele: Esatto.

Pietro: Se io devo dirti qualcosa in qualche modo

e la lingua non la conosco,

in qualche modo riesco a dirtela.

Poi i gesti italiani

non è che servono per fare discorsi filosofici e complessi

ma per trasmettere dei messaggi brevi ed efficaci.

Immediati.

Michele: È vero.

Michele: Faremo qualche esempio.

Faremo qualche esempio dopo dei gesti che utilizziamo di più.

Sono anch’io d’accordo con te,

perché anche io ho origini siciliane come te,

sono nato in Sicilia, ho vissuto lì otto anni.

Ora sono 17 anni che vivo in Veneto

però anche in questa regione ho notato un forte uso dei gesti.

Ovviamente sì, mi viene da pensare sempre alla Sicilia

come italiano medio che gesticola tanto,

a Napoli, a Roma.

Però in tutta Italia è comune. Pietro: Sì.

Michele: È molto comune.

Che poi sia più forte al sud, va bene.

Bisognerebbe fare delle analisi più approfondite.

Però in generale credo sia una cosa comune in tutta Italia.

Michele: Anche in Trentino. Pietro: Con i gesti possiamo comunicare ovunque.

Michele: Sì, esatto.

Quali sono i gesti che ti piace usare di più?

Facceli anche vedere e spiegaci il significato.

Magari ce ne spieghi due, tre di quelli che ti piace usare di più.

Pietro: “Che mi piace usare” è una domanda interessante.

Non ti risponderò con il classico gesto che tutti conoscono.

Michele: Ok, bene.

Meglio così, così impariamo qualcosa di nuovo.

Pietro: Esatto. Ti risponderò invece..

Mi piace molto fare i gesti con la mano aperta.

Michele: Ok.

Pietro: Mano aperta, non la classica… Michele: La mano chiusa.

Pietro: Con la mano aperta, se ci pensi, possiamo comunicare diverse cose.

Possiamo comunicare che quel tizio lì non c’è con la testa.

È un po’ pazzo.

Michele: Questo sì, è molto comune come gesto.

Quando fai così vuol dire che…

…quella persona lì ha qualcosa di strano nella mente, non sta molto bene.

Pietro: Esatto. Michele: Esatto.

Michele: Un po’ pazzo.

Pietro: Ma abbassandola un pochino

Michele: Eh sì. Pietro: Mano un po’ più veloce.

Michele: È vero. Pietro: C’è un po’ di puzza qui.

Michele: Eh sì, è vero.

Pietro: E siccome c’è un po’ di puzza, forse…

Michele: È meglio andarsene.

Pietro: Andiamo, andiamo.

Pietro: Esatto. Michele: Esatto, andiamo.

Michele: Esatto, sì.

Pietro: E ce ne sono ancora tanti altri.

Michele: È vero, è vero.

Pietro: Il classico “eh, aspetta e spera!”.

Michele: Vero.

Pietro: O detto in modo informale,

Pietro: “Vabbè”. Michele : “Vabbè”.

Michele: Oppure così, quando fai così con la mano, no?

Il fatto di roteare la mano.

In senso orario o antiorario, di solito orario,

per dire “eh, cosa stai dicendo, dai non esageriamo!”

“ok, mamma mia, su!”

Pietro: Esatto! Che però accompagnato da un contesto diverso…

Michele: E da un’espressione della bocca.

Eh sì, è tipo “è buonissimo”. Pietro: “È fantastico”.

Michele: “È fantastico”, sì esatto.

Può essere correlato con il cibo, con un’esperienza.

Quindi, “com’è andata ieri?”.

“Una favola”.

Ok? “Da dio”.

Esatto.

Pietro: Insomma, la mano aperta comunica tanto.

Michele: È vero. A me un gesto che piace molto è questo qui.

“Non c’è niente”.

Viene usato quando una persona ti fa una domanda riguardo qualcosa.

Tipo: “C’è la pasta nella dispensa?”.

E tu gli fai “No, non c’è più pasta, è finita”.

Pietro: “Non ce n’è più”.

Michele: Sì, è finita. Oppure questo.

Questo mi piace molto. “Hai paura?”.

Ok?

Michele: Che può essere usato in modo formale o informale

ma questo in generale significa “hai paura, hai fifa?”.

Michele: Ok? Pietro: È vero.

Pietro: E anche questo in contesti…

più che contesti, forse in una posizione diversa,

forse leggermente più lontana dal corpo…

Michele: Sì.

Pietro: O con due mani. “Pieno, questo posto è pieno così”.

Michele: Esatto. Bravo, sì sì. “È pieno”.

Forse anche il fatto di utilizzare l’espressione del viso aiuta molto

anche a contestualizzare il gesto, secondo me.

Michele: Di per sé. Pietro: Assolutamente.

#3: Esperienze all’estero: la storia di Sabina

Study this video as a lesson on LingQ

Clara: Ciao a tutti e benvenuti in questo nuovo episodio del LingQ Podcast in italiano.

Io sono Clara e sono la presentatrice del podcast.

Ricordatevi che potete utilizzare questa puntata

come lezione su LingQ.

Troverete tutte le informazioni nella descrizione di questo video,

ma potete utilizzare tanti altri contenuti come serie TV,

articoli di giornale,

pagine Web.

Li potete importare e usarli come lezioni personalizzate.

Ricordatevi di iscrivervi al canale di LingQ, se non l’avete già fatto

e di lasciarci un mi piace o una recensione su qualsiasi piattaforma

stiate ascoltando questo podcast.

Oggi siamo in compagnia di Sabina Xhafaj.

Ciao Sabina.

Sabina: Ciao Clara, come stai?

Clara: Bene grazie, spero che vada tutto bene anche con te.

Sabina: Sì sì, va tutto bene.

Clara: Perfetto.

Ti volevo chiedere di fare una breve presentazione

per chi magari non ti conosce, così che possa sapere un po’ su di te.

Sabina: Certo, volentieri.

Io sono Sabina, ho 27 anni.

Attualmente sono disoccupata, sto cercando lavoro.

Clara: Ok.

Sabina: Sono laureata in triennale in Lingue Italo-Tedesche,

invece nella magistrale sono laureata in turismo.

Clara: Ah, ok. SABINA: Ovviamente il periodo è…

…il migliore di tutti per laurearsi in turismo.

Clara: Certo. Quindi immagino che

essendoti laureata in turismo e in lingue,

tu abbia fatto delle esperienze all’estero.

Sabina: Sì, sì, certo. Ne ho fatte diverse.

La mia prima esperienza all’estero è stato l’Erasmus fatto nella triennale,

dove per motivi di studio, mi sono spostata in Germania,

in quanto il mio percorso prevedeva di effettuare

minimo 48 crediti nell’università di Bonn.

Una volta arrivata lì,

l’impatto iniziale è un po’ diverso

perché la Germania è un Paese molto più freddo dell’Italia

e ritrovarsi a mettere il giubbotto già a settembre

era un po’ strano.

Clara: Un po’ uno shock.

Sabina: Esatto.

Come esperienza è stata veramente bellissima, ho incontrato tantissime persone

che provenivano da diversi paesi europei e non europei.

Con persone con cui, tra l’altro, sono ancora in contatto.

Veramente, veramente bellissima.

L’università poi ti prometteva anche un diverso approccio di studio

dovevi anche metterti un po’ in gioco e imparare

ad adattarti anche a questo quest’altro mondo.

Clara: Certo.

Sabina: Poi c’era anche una grande differenza negli insegnanti.

In Italia diciamo che l’Università è molto focalizzata sulla teoria,

quindi sull’imparare le cose a memoria.

Lì, invece, in Germania sono più focalizzati sulla parte analitica

quindi poter analizzare ciò che studi,

in cui gli insegnanti ti chiedono anche il tuo pensiero.

Mentre in Italia questa parte è un po’ tralasciata.

Lì ho imparato un po’ anche a ragionare sulle cose che studiavo.

Clara: Certo, avere un po’ più di pensiero critico.

Sabina: Esatto, esatto.

Sì, inizialmente è risultata molto difficile per me questa cosa

perché le lezioni erano tutte in tedesco.

Il mio livello di tedesco non era così buono da poter permettermi

di seguire le lezioni senza avere difficoltà.

I primi sei mesi passati in Germania

non ho parlato molto in tedesco.

Parlavo molto le altre lingue tranne quella.

Perché avevo anche paura di sbagliare.

Poi i primi mesi, inizi a capire gli sbagli che fai quando parli,

perché in Italia non hai la possibilità di parlare spesso con persone del posto,

quindi riuscire ad avere un linguaggio adatto per comunicare con le persone.

Una volta arrivata là, dopo che apprendi un po’ in modo passivo la lingua,

inizi a capire che fai errori quando parli e ti vergogni pure un po’ a esprimerti.

Clara: Certo, anche perché ci sono persone che

ti correggono perché vogliono aiutarti

però giustamente, ti corregge una, due, tre volte

dopo un po’ cominci a avere anche un po’ di paura a parlare.

Sabina: In questo caso, non mi hanno corretta molte persone,

quindi diciamo che lo richiedevo io.

Nel senso che chiedevo alle persone di correggermi

perché i tedeschi sono molto rispettosi.

Diciamo che non vanno a interferire

su quello che stai dicendo, cercano di capirti come lo stai dicendo

quindi non ti correggono perché pensano che ci rimani male.

Io chiedevo di correggermi se no non avrei mai imparato la lingua in modo corretto.

Sabina: Effettivamente. Clara: Certo.

Sabina: Però insomma, alcuni lo facevano, altri un po’ meno.

Però, dai…

Clara: E i tuoi compagni di corso come si trovavano lì?

Avevano la tua stessa esperienza

oppure l’hanno vissuta in maniera diversa?

Sabina: Ti devo dire che eravamo in tutto nove,

o otto, quelli che siamo partiti.

Il nostro corso era abbastanza piccolo.

Molte persone

si sono rifugiate stando poco in contatto con i tedeschi,

anche perché la natura tedesca è abbastanza fredda

e devi saper entrare in confidenza con loro.

Perciò

in molti hanno preferito rimanere nei gruppi internazionali,

quindi parlare più inglese o parlare

altre lingue,

dipendeva dal gruppo in cui si inserivi,

piuttosto che

ingaggiarsi molto con i tedeschi.

Invece altre persone hanno preferito subito inserirsi nei gruppi tedeschi,

lasciando stare i gruppi internazionali

per sentirsi anche un po’ più integrati

all’interno dell’università.

Clara: Certo. Sabina: Ci sono state diverse dinamiche.

Non tutti l’abbiamo vissuta allo stesso modo.

Lo stare all’estero è un’esperienza bellissima,

però c’è un periodo di…

io lo chiamo di transizione,

in cui dal terzo al quarto mese in cui sei all’estero

inizi ad avere nostalgia di casa e anche le persone con cui stavi prima.

Quindi ti senti un po’ frustrato.

Ma questa è una cosa che capita a tutti.

Magari a qualcuno capita un po’ prima, a qualcuno più tardi,

però capita a tutti.

Soprattutto sapendo che rimarrai un periodo abbastanza lungo

in quel luogo.

Quindi anche lì le persone

hanno reagito in maniera diversa.

In molti sono ritornati a casa

per una o due settimane per riprendersi

e poi ritornare alla vita da Erasmus, da studente all’estero.

Clara: Invece tu sei rimasta sempre a Bonn?

Sabina: Io sono rimasta a Bonn per 2 anni, più o meno.

Ho finito la triennale lì.

Mi sono anche iscritta per un semestre nella magistrale

che in realtà non volevo fare.

Però per poter rimanere ancora in Germania mi sono iscritta e ho detto:

“Tanto sto ancora un po’ qua”

perché mi piaceva molto.

Clara: Ok.

Sabina: Dopo questa esperienza, mi sono ritrasferita in Italia

per poter fare la magistrale.

Una volta fatta la magistrale,

ho sentito il bisogno di ritornare in Germania

perché mi mancava, diciamo, quell’aria…

non so se era l’aria tedesca o anche solo il fatto di rifare un’esperienza all’estero.

E ho deciso di fare un Praktikum,

quindi un tirocinio in Germania.

Ho fatto il tirocinio a Francoforte sul Meno.

Tra l’altro una città che all’inizio non mi è piaciuta per niente.

L’avevo già visitata durante il mio periodo Erasmus della triennale.

Era una città molto grigia, molto fredda, molto ventosa.

Diciamo che non sembrava accogliente.

E invece, una volta arrivata per fare il tirocinio lì,

diciamo che mi è piaciuta tantissimo.

Mi è piaciuta tantissimo perché ho scoperto diversi posti,

che erano frequentati comunque da studenti,

diversi punti panoramici, diversi bar

dove ti sentivi a tuo agio, dove conoscevi altre persone.

Quindi è anche una città abbastanza internazionale.

Mi è piaciuta molto la vita a Francoforte, devo dire.

Non me l’aspettavo prima di andarci, però è stata molto bella.

Clara: Che differenze hai notato tra Francoforte e Bonn

come stile di vita, come anche persone?

Sabina: Allora…

diciamo che Bonn è una città molto studentesca.

Quindi è un mondo concentrato sugli studenti.

Diciamo che la parte di Colonia-Bonn della Nord Vestfalia

è considerata in Germania la parte

un po’ più accogliente.

perché lì viene fatto il carnevale,

un carnevale molto diverso da quello italiano,

che non hai niente a che fare con il Carnevale di Venezia.

È un carnevale un po’ più “terra terra”.

È molto famoso in Germania e inizia l’ 11 di novembre alle ore 11:11.

Dura quasi tutto l’anno,

però i giorni effettivi in cui c’è il carnevale sono quelli normali.

Le persone sono pazze durante quel periodo.

Passano carrelli,

possiamo prendere come indicazione il carnevale di Viareggio.

Passano carrelli buttando cioccolatini, caramelle, fiori,

alle persone che stanno guardando ma a quantità esagerate.

Le persone sono perennemente ubriache

e diciamo che gli altri paesi tedeschi

non la vedono molto bene, li chiamano un po’ pazzerelli

le persone della Colonia anche.

Poi c’è anche una grande rivalità tra le città della Nord Vestfalia

su chi fa il carnevale migliore.

Clara: Ah, ok!

Sabina: Però tra Bonn e Francoforte, Francoforte è molto più internazionale.

Poi Francoforte accoglie il mondo della Finanza, delle grandi imprese.

Ha diverse sfumature come città.

Può tranquillamente trasformarsi in una città della vita notturna,

da una città di grandi imprenditori.

È un’esperienza totalmente diversa.

A Francoforte è anche un po’ più difficile avere contatto diretto con i tedeschi

perché essendo anche così tanto internazionale tu ti ritrovi

a essere in contatto con diverse nazionalità,

che non è detto che siano persone tedesche.

Oltre a Francoforte e Bonn, io ho vissuto anche vicino Ratisbona

che si trova nel Bayern,

quindi nella Bavaria.

Ratisbona è un mondo totalmente diverso.

nel senso che il Bayern è una regione, uno Stato,

è uno Stato molto contadino,

chiamiamolo così.

Anche le città sono molto lontane tra di loro.

Ah, c’è un paesaggio bellissimo.

Hanno un paesaggio bellissimo i paesi del Bayern

proprio a livello naturale-ambientale,

secondo me è la parte più bella della Germania.

Anche a livello architettonico ci sono molte città che hanno uno stile romano.

e quindi hanno un certo fascino anche da poter essere visitate.

Le persone del Bayern sono un po’ più chiuse come persone.

Non hai mai direttamente la possibilità di entrare a contatto con loro

e sono anche delle persone…

non mi viene la parola in italiano, che bello.

Sono un po’ chiuse mentalmente.

Sono anche persone che non amano viaggiare tantissimo.

Se sono nati in un paese, nascono, crescono e muoiono lì.

Clara: Ok. Sabina: Però…

A livello di paesaggio, il Bayern è quello che mi è piaciuto di più.

In questo momento io sto vivendo nel Baden-Wurttemberg

che è nella zona della Foresta Nera.

Come zona non mi piace molto a dire la verità.

Però anche qui ci sono dei paesaggi bellissimi.

La cosa che non mi piace qua è che è suddivisa in tantissimi paesini

che sono lontani l’uno dall’altro

e non c’è molto la vita mondana.

Clara: Certo. Sabina: Cosa che piacerebbe un po’ a me.

Clara: È molto diversa dalla vita nelle grandi città,

quello che eri abituata tu quando eri a Francoforte, a Bonn, certo.

Sabina: Sì, esatto.

Clara: Ok. Sabina: Molto diversa.

Clara: Diciamo se dovessi stilare una classifica

dei posti in Germania nei quali sei vissuta,

quali sono i posti dove ti sei divertita di più, che ti sono piaciuti di più

e quelli magari dove

o non vorresti tornare o non ti sei divertita così tanto?

Sabina: Allora…

partiamo dal presupposto che ogni città l’ho vissuta in età diversa.

Clara: Giusto.

Sabina: Quindi ha a che fare molto la modalità in cui ti trovi.

Quando ero a Bonn, ero nella modalità

“voglio conoscere tutto il mondo, voglio girare un sacco di città, un sacco di paesi”,

quindi era anche l’ambiente studentesco che ti permetteva

di conoscere diverse persone che provenivano da diversi paesi.

Bonn è e rimarrà sempre la mia città numero uno,

perché lì ho avuto tantissime esperienze,

ho conosciuto persone bellissime,

è l’esperienza in sé per sé che è stata molto bella.

Io ho rivisitato Bonn a distanza di anni, anche quest’anno.

Ha perso un po’ il suo fascino che aveva allora

perché, come ti ho detto, ha a che fare con l’età in cui ti trovi

e anche dalle cerchie sociali che ti sei creata in quella città.

Ora tutte le persone che ho conosciuto quando ero lì

non sono più in quella zona.

Quindi, ora Bonn non potrebbe essere la mia numero uno.

Clara: Ok.

Sabina: Con l’età che ho adesso.

Se ti devo dire per Ratisbona,

è una bellissima città, è una città tranquilla

che ti permette di avere un po’ di vita notturna,

ma anche di farti i tuoi comodi.

Sabina: Ratisbona la metterei al terzo posto. Clara: Ok.

Sabina: Bonn la metterei al secondo.

Clara: Ok.

Sabina: Al primo posto ora metterei Francoforte.

Francoforte perché secondo me

anche per la crescita personale che una persona cerca nella vita,

quindi anche dipende dal periodo in cui ti trovi.

Dalla modalità in cui ti trovi, dalle cose che vuoi fare della tua vita,

Francoforte ti offre più possibilità.

Nel senso che hai la possibilità di trovarti un buon lavoro,

hai la possibilità di divertirti la sera,

hai la possibilità di conoscere persone internazionali,

quindi rimanere sempre aggiornato anche

a livello di attività, ma anche a livello di hobby.

Quindi, secondo me, Francoforte anche se non è

dal punto di vista architettonico non è la più

bella tra queste che ti ho detto,

però ti offre molte possibilità.

Quindi ora per me Francoforte sarebbe la numero uno.

Il posto in cui mi trovo ora lo metto all’ultimo posto.

È bello eh…

mi trovo anche bene, però non fa parte delle mie corde.

Clara: Ok, magari non è un posto

adatto a te per il momento che stai vivendo adesso.

Magari forse più in là ti potrebbe anche piacere di più, certo.

Sabina: Sì, secondo me se ti vuoi creare una famiglia, hai bisogno della tua tranquillità,

allora il Baden-Wurttemberg è la soluzione dei problemi

perché riesci a trovare una buona posizione di lavoro, a sistemare la famiglia

e a far crescere i tuoi figli in un ambiente abbastanza tranquillo.

A Francoforte, ti direi, io non potrei crescere dei figli.

in quanto c’è un alto tasso di criminalità

a livello tedesco parliamo.

Ha il tasso di criminalità più alto tra tutti.

Ci sono anche tantissimi giovani

che hanno dei precedenti

con spaccio di droga e cose del genere.

Non mi sentirei tranquilla a creare una famiglia a Francoforte.

Clara: Certo.

Ok, l’ultima cosa che ti volevo chiedere per chi

sta ascoltando questa nostra chiacchierata,

dato che tu hai fatto diverse esperienze all’estero,

ora in questo caso abbiamo parlato della Germania, ma in generale,

ti sentiresti di consigliare

a persone magari della nostra età,

sui 20-30 anni, ma anche più in là volendo,

ti sentiresti di consigliare delle esperienze all’estero sul breve o lungo periodo?

Sabina: Assolutamente sì.

Le esperienze all’estero ti formano.

Ti formano sul campo.

Tu riesci a formarti a livello umano,

ad essere aperto mentalmente, al mondo, alla novità, allo sviluppo.

Qualsiasi esperienza all’estero è solo un arricchimento che puoi avere.

Lo consiglio a tutti di qualsiasi età, non c’è limite per fare questo.

Anzi, diciamo che è sempre una buona occasione

potersi permettere di andare all’estero, di fare anche solo una settimana.

Anche solo una settimana in realtà ti apre molto

il cuore, la tua visione.

È proprio un’esperienza bellissima che io consiglierei sempre a tutti.

Clara: Ti ringrazio tanto Sabina per questa chiacchierata

che è stata molto interessante.

Spero che ci possiamo rivedere presto

o in Germania o in Italia o da qualche altra parte.

Sabina: Ringrazio te per avermi invitata a fare questo tipo di presentazione.

Mi è piaciuto tantissimo.

Speriamo di re-incontrarci e magari in un altro Paese non sarebbe male.

Clara: Magari, magari, assolutamente!

Clara: Ciao Sabina, grazie. Sabina: Ciao, buona giornata.

#2: Laurearsi in Italia: quattro chiacchiere con Laura

Study this video as a lesson on LingQ

Clara: Ciao a tutti e benvenuti in questo nuovo episodio del LingQ Podcast in italiano.

Io sono Clara e sono la presentatrice del podcast.

Ricordatevi che potete utilizzare questo episodio del podcast come lezione su LingQ,

ma potete anche importare qualsiasi altro tipo di contenuto che vi può interessare,

come episodi di Netflix, pagine web o altri tipi di video

per studiare l’italiano con ciò che vi interessa.

Non dimenticatevi, inoltre, di lasciare un mi piace o una recensione

su qualsiasi piattaforma stiate ascoltando questo podcast,

perché ci farebbe veramente tanto piacere.

Oggi abbiamo qui con noi Laura Somma.

Ciao Laura.

Laura: Ciao a tutti.

Clara: Ti volevo chiedere di fare una breve presentazione,

così chi ci sta ascoltando sa chi sei e che cosa fai.

Laura: D’accordo. Allora, io sono Laura,

ho 23 anni, tra poco 24, e mi sono appena laureata in Scienze Politiche.

Ho fatto la scuola Liceo delle Scienze Umane quando andavo alle superiori

e vivo con la mia famiglia a Trieste.

Clara: Perfetto.

Infatti, io volevo parlare con te, volevo fare due chiacchiere

proprio perché so che tu sei una neolaureata.

Laura: Sì, esatto.

Clara: Ti volevo chiedere un po’ di domande,

sapere un po’ di più sulla tua esperienza all’università in Italia

perché pensavo che poteva essere interessante per chi sta imparando italiano

ed è curioso di sapere come funziona un po’.

Quindi tu hai studiato scienze politiche, giusto?

Laura: Sì, Scienze Politiche all’Università di Trieste.

Clara: Ok all’università di Trieste. LAURA: Nella mia città.

Clara: Perfetto e quanti anni era la tua università?

Cioè era una università triennale oppure hai fatto Master?

Come funziona?

Laura: La mia università, la facoltà si basa su tre anni

e poi una persona se desidera può fare anche gli altri due anni della magistrale.

il che è molto utile, però io ho deciso di fermarmi alla triennale.

Clara: Perfetto.

Quindi tu hai fatto la triennale di scienze politiche.

Laura: Sì.

Clara: E più specificatamente diciamo,

perché anche io ho fatto l’università, ma un po’ di anni fa

quindi magari le cose possono essere cambiate,

ma voi cominciate anche a settembre sempre i corsi, giusto?

Oppure è cambiato? Come funziona?

Laura: I corsi iniziano a ottobre.

Clara: Ah, ok! Laura: Quindi più tardi, a inizio ottobre.

per alcune facoltà in università in generale

ci sono anche dei precorsi

che sarebbero delle lezioni aggiuntive prima dell’inizio dei corsi

in cui i ragazzi possono iniziare a conoscere i professori

e hanno diciamo un’introduzione

sulle lezioni che poi andranno a seguire durante le vere e proprie lezioni.

Per esempio, io quando

ho iniziato l’università che era il 2018,

ottobre 2018,

qualche settimana prima dei corsi abbiamo fatto un introduzione sui corsi più difficili

come statistiche e microeconomia

che sono dei corsi abbastanza tosti che tante persone poi durante i tre anni

si trascinano dietro come esame

perché appunto sono esami del primo anno,

però essendo difficili poi vengono fatti di solito all’ultimo anno.

Quindi sì, queste introduzioni servono molto per avere una base diciamo su cui partire.

Clara: È interessante questa cosa perché non sapevo che esistessero i precorsi.

Non so se una cosa,

cioè non so se sai se è una cosa solo di Scienze Politiche

oppure anche altre facoltà hanno questa cosa

per corsi che sono un po’ più complicati e un po’ più difficili per chi comincia,

però è molto interessante come cosa perché non sapevo che esistesse.

Laura: Sì anche altre facoltà hanno questa opportunità di fare i precorsi.

Questo per quanto riguarda la mia università.

Non so per quanto riguardi altre facoltà o altre università in Italia.

Questo non te lo so dire.

Clara: Certo, sì perché ad esempio

tu hai fatto l’università Trieste, io a Firenze,

quindi, magari ci sta che o negli anni o di Facoltà in Facoltà

possa anche cambiare questa cosa.

Però è particolare, non lo sapevo.

Un’altra cosa che ti volevo chiedere è riguardo i corsi.

Cioè tu mi hai spiegato che hai fatto diversi corsi

e che ci sono anche delle lezioni extra per quelle più difficili

ma in media quanto durano questi corsi?

Cioè sono per semestre o durano di meno, alcuni durano di più?

Laura: Allora i corsi sono semestrali.

I corsi iniziano da ottobre e poi finiscono a dicembre.

Invece nella seconda parte dell’anno, quindi nel secondo semestre,

iniziano a marzo e finiscono a maggio e sono tutti i corsi diversi.

Diciamo che come studio è molto intenso quello della mia facoltà

però rispetto ad altre facoltà è anche un po’ più semplice,

nel senso che è una facoltà fattibile anche per studenti stranieri

perché ci sono molti corsi anche insegnati in inglese,

quindi anche studenti che vengono da altre parti del mondo

riescono a seguire anche facilmente.

La preparazione degli insegnanti è anche molto buona,

il materiale in inglese c’è

ed è molto recuperabile, reperibile.

Clara: Ok, quindi comunque diciamo che ti sentiresti anche

di consigliare a chi viene da qualche altra parte del mondo,

chi vuole venire a studiare in Italia, la facoltà di Scienze Politiche.

Laura: Sì, sì, assolutamente.

Clara: Ok perfetto.

Laura: Anche perché la facoltà di Scienze Politiche a Trieste è la migliore in Italia.

Rispetto alle classifiche che fanno

Scienze Politiche è molto quotata in Italia.

Clara: Ok, non lo sapevo.

So che a Trieste ci sono delle università che sono molto quotate in generale.

C’è la Facoltà, se non sbaglio, anche di astrofisica che è molto famosa.

Però non sapevo di Scienze Politiche

quindi ne abbiamo aggiunta un’altra adesso alle buone Facoltà che ci sono a Trieste.

Un’altra cosa che volevo sapere

riguarda anche le vacanze tra virgolette,

o comunque ai periodi tra i corsi, no?

Nel mio caso, ad esempio, avevo due-tre mesi di pausa a volte

tra corsi e le sessioni di esami

quindi magari uno poteva usarlo come vacanza parte di quel tempo tra lo studio.

Volevo sapere nel tuo caso come funzionava a livello di vacanze tra i corsi.

Laura: Sì esattamente come hai detto tu

tra i corsi del primo e secondo semestre c’è una sessione d’esame

che va da

metà dicembre fino a fine febbraio/inizio marzo,

in cui i ragazzi hanno la possibilità di rilassarsi un attimo

però anche di studiare per la sessione d’esame.

Stessa cosa succede tra il secondo semestre e l’inizio dell’anno successivo,

durante tutta l’estate, in cui finiscono le lezioni e inizia la sessione d’esame

che però dura soltanto da fine maggio a fine luglio.

Ad agosto l’università è proprio chiusa

così si dà la possibilità di andare un po’ in vacanza e di riposarsi.

Clara: Certo.

Mi immagino che gli esami di Scienze Politiche,

mi hai già detto che ci sono esami, come statistica,

che sono quelli un po’ più ostici.

Volevo che mi raccontassi un po’ la tua esperienza

con l’esame più difficile che hai fatto.

Qual è stato e un po’ com’è stata la tua esperienza.

Laura: L’esame più difficile in assoluto è stato quello di microeconomia,

seguito poi da statistica

perché io nelle materie matematiche non sono per niente portata.

Entrambi gli esami erano del primo anno, come dicevo all’inizio.

li ho trascinati fino all’ultimo anno.

Microeconomia l’ho dato proprio all’ultimo momento

quindi nell’ultimo appello disponibile

che il prof ha fatto apposito per gli studenti che stavano per laurearsi.

Quindi è stato uno studio molto intenso,

ho studiato davvero tanto.

Penso di aver impiegato due mesi per studiare giorno e notte quella materia.

Alla fine l’ho passato.

È stato un esame sia scritto che orale.

È una cosa molto usata, tra l’altro, nella mia facoltà,

fare esami che comprendono sia la parte scritta che la parte orale.

Però alla fine ce l’ho fatta

e mi sono laureata in tempo senza andare fuori corso.

Clara: Bravissima. Che tra l’altro è molto difficile.

Cioè magari chi non è in Italia non lo sa,

però soprattutto se fai dei momenti all’estero

un semestre all’estero

oppure fai altri progetti che sono oltre all’università,

non andare fuori corso è una cosa che non in tantissimi fanno, quindi complimenti.

Laura: Grazie.

Clara: Tra l’altro, ritornando un po’ sul discorso del laurearsi,

del finire l’università,

volevo che mi raccontassi un po’ cosa hai provato

quando hai fatto la tesi per finire università

e quando poi l’hai esposta davanti ai professori,

cosa hai sentito quando ti sei resa conto, una volta finito,

di dire: “Ok, ho finito l’università, ce l’ho fatta”.

Laura: Allora l’esperienza è stata molto bella.

Dà l’idea proprio di soddisfazione personale a livello molto alto.

tutto lo sforzo che si è fatto durante i tre anni è stato ripagato

con la presentazione della tesi.

La mia tesi si basava su un corso di politica comparata.

Mi sono focalizzata sullo studio delle elezioni negli ultimi 10 anni

nei paesi africani.

Ho preso ogni singolo paese, l’ho comprato agli altri

per vedere se le elezioni si sono svolte correttamente o meno.

Questo lavoro mi ha dato la possibilità anche di scoprire nuove cose.

Ho impiegato 2 mesi interi per fare la tesi.

L’emozione è stata fortissima.

Ero molto agitata durante la discussione.

Ho dovuto aspettare 5 giorni prima di avere il risultato.

Il risultato non è stato immediato.

Quindi la tensione saliva di giorno in giorno.

Però alla fine ero soddisfatta.

Ho ricevuto punti pieni per questo elaborato.

Ero molto contenta e si è chiuso un cerchio di studio intenso.

Clara: Mi immagino. Complimenti ancora

per il tuo percorso. LAURA: Grazie.

Prima di concludere volevo farti un’ultima domanda

che è una tua valutazione del tuo corso di studi.

Quello che hai provato, le emozioni,

se ti sentiresti anche di consigliare il tuo stesso corso di studi e perché.

Laura: In una scala da 1 a 10 darei 8.

Otto penso che sia giusto

perché gli insegnanti sono veramente tanto preparati

e molto disponibili anche ad aiutare gli studenti in generale.

L’unica cosa di Scienze Politiche,

come Facoltà deve piacere

perché ci sono molti corsi di diritto e di storia.

C’è la possibilità di imparare un po’ qualche lingua come corso a scelta.

Io ho fatto, per esempio, anche inglese e francese.

Però sono corsi minori che danno anche meno punti.

Però se piace è una bella facoltà, un bell’ambiente,

i professori, come ho detto, sono molto disponibili,

è una buona università, una buona Facoltà, sicuramente.

Clara: Ok, ti ringrazio tantissimo per questa chiacchierata.

Mi ha fatto molto molto piacere.

Laura: Grazie, anche a me.

Clara: E complimenti ancora per la tua laurea.

Laura: Grazie. Clara: Ciao.

Clara: Ciao a tutti.

#1: Diventare italiani: la storia di Anna

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Clara: Ciao a tutti e benvenuti in questo nuovo episodio del Lingq Podcast.

Io sono Clara e sono la presentatrice del podcast in italiano.

Se state studiando italiano

ricordatevi che potete usare questo episodio come lezione su Lingq

insieme a tanti altri contenuti come video, serie tv, Blog, etc.

Qualsiasi cosa sia potete utilizzarla come lezione su Lingq

e imparare l’italiano tramite contenuti di vostro interesse.

Ricordatevi anche di seguirci, di lasciarci un mi piace,

o una recensione su qualsiasi piattaforma stiate ascoltando questo podcast,

perché ci farebbe veramente tanto piacere.

Oggi sono in compagnia di Anna Djordjevic, ciao Anna.

Anna: Ciao Clara.

Clara: Se ti vuoi presentare

e fare una breve presentazione per chi non ti conosce,

perché magari forse solo io ti conosco

quindi se ci vuoi raccontare un pochino chi sei, che cosa fai, etc.

Anna: Allora Clara…

Sì, noi ci conosciamo quindi qualcosa di me sai già.

Ovviamente per chi non mi conosce, io sono Anna,

di cognome faccio Djordjevic,

quindi potete immaginare che non è proprio del tutto italiano come cognome.

In effetti, sono circa 25 anni che vivo in Italia.

Considerando che ho 37 anni,

arrivo in Italia quando avevo soli 12 anni.

Nasco dove? Nasco a Negotin,

una piccolissima cittadina che dista circa 200 km da Belgrado,

che è la capitale della Serbia.

Quindi in realtà sono di origine serba.

Anna: Di adozione Italiana. Clara: Esatto, anche se non si direbbe!

Anna: Sì, hai sottolineato un aspetto

che ormai sono abituata a sottolineare in diverse situazioni.

Cioè, ogni volta chiacchiero un qualcuno e mi presento,

difficilmente credono che io non sia italiana.

Quindi è ovvio che di adozione ormai mi ritengo a tutti gli effetti italiana.

Sicuramente.

Clara: Esatto, quindi quando sei arrivata in Italia avevi 12 anni, giusto?

Anna: Sì, esattamente.

Avevo appena compiuto 12 anni.

Ero poco più che una bambina.

A quell’età mi trasferisco per un esigenza familiare.

Quindi la decisione viene presa dalla mia famiglia.

Un po’ perché mia mamma ha sempre desiderato,

ha sempre avuto il sogno italiano anziché quello americano.

A lei piaceva l’idea di poter vivere in un Paese come l’Italia.

D’altra parte, la scelta derivava anche

da una situazione abbastanza particolare del mio Paese.

La Serbia in quegli anni non vive proprio degli anni bellissimi

dal punto di vista economico, ma anche politico.

Quindi la mamma coglie l’occasione

per trasferirsi e per cercare, come si suol dire, fortuna in Italia

con l’obiettivo di dare un futuro migliore ai figli,

quindi sia a me che a mio fratello.

Quindi a 12 anni arrivo in Italia.

Il mio sogno italiano inizia nel ‘96 a Roma.

Anna: Diciamo che… Clara: Ok.

Anna: …che sono stata anche fortunata

perché il trasferimento è stato molto forte di impatto.

Perché venire da uno Stato piccolino come quello della Serbia,

ma anche da una cittadina molto piccola come la mia

che contava all’incirca 20 mila abitanti,

ad arrivare in una città come Roma…

Anna: …puoi immaginare. Clara: Uno shock.

Anna: Io mi sono trovata il Colosseo, quello vero, davanti

quando magari lo guardavo soltanto nei film o in televisione.

Anna: Capisci? Clara: É stata un’emozione particolare

una volta arrivata a Roma.

Anna: Sì, per l’età che avevo

da una parte ero consapevole di questo grande cambiamento.

Dall’altra parte idem.

Per l’età non avevo la visione di questa città enorme

e anche del cambiamento che avrei dovuto vivere

in primis la lingua.

Sono arrivata in un mondo non mio,

dove si parla un’altra lingua che non è la mia,

della quale io sapevo zero.

Quindi, in realtà, non avevo proprio idea,

a parte quelle due, tre paroline che vengono usate in tutto il mondo,

ma l’italiano per me era una lingua totalmente sconosciuta.

Clara: E mi immagino anche per tua mamma, giusto?

Quindi siete arrivati tu, tua mamma e tuo fratello

che non sapevate parlare italiano.

Avete imparato sul posto praticamente.

Anna: Bravissima, esattamente.

Giustamente tu lo sottolinei anche per mia mamma.

Ovviamente io dico sempre che per i bambini,

quindi io lo ero e anche mio fratello, che tra l’altro è più piccolo di me,

lui aveva solo 8 anni,

sicuramente per noi era molto più semplice.

Nel senso che, puoi immaginare

sai benissimo che i bambini sono più predisposti, assorbono più velocemente.

Mentre mia mamma, nonostante fosse giovanissima

quando siamo arrivate in Italia,

aveva delle difficoltà in più.

Anna: Ti dico un’altra curiosità. Clara: Sì!

Visto che prima la mia vita era così, un po’ da nomade.

In realtà la mamma era un po’ avvantaggiata

del fatto che abbiamo vissuto anche un anno in Spagna.

Clara: Ok. Anna: Quindi prima di arrivare in Italia,

noi abbiamo vissuto un anno a Palma di Maiorca

quando io avevo 8 anni, quindi 4 anni prima di arrivare in Italia.

Forse quello è stato un pochino un precedente

che ci ha permesso di assorbire, di imparare anche meglio l’italiano.

Soprattutto per mia mamma che già era un adulta.

Insomma, i ragazzi fanno presto ad assimilare…

Anna: …e a imparare. Clara: Certo.

Anna: Ma anche a dimenticare, volendo.

Si adeguano velocemente.

Clara: Ok,quindi tua mamma aveva una base di spagnolo.

Quindi è stata un attimino più facilitata imparando l’italiano.

Anna: Sì, diciamo che lo spagnolo è rimasto molto ben marcato.

Anche oggi pensano che sia spagnola e non italiana.

Clara: Fantastico.

Anna: Forse un po’ per la somiglianza.

Anna: Si fa presto anche a confondere. Clara: Certo.

Anna: O avere quell’accento che fa credere che possa essere spagnola e non italiana.

Ha un po’ anche le sembianze di una donna scura.

È molto spagnola dall’aspetto.

Clara: Tua mamma ha imparato l’italiano vivendo e lavorando in Italia.

Mentre tu sei andata a scuola in Italia, tu e tuo fratello.

Anna: C’è una piccola parentesi qui.

Sì, la mamma si è trasferita qualche mese prima di noi

per un aspetto pratico e burocratico,

quindi per sistemare un po’ di cose.

Dovendo lavorare sin da subito,

si è subito rapportata con italiani e con le persone del posto.

Io e mio fratello abbiamo avuto un periodo di stallo, di fermo.

Finché la mamma non ha sistemato tutta la documentazione e la parte burocratica,

non frequentavamo una scuola, quindi è passato qualche mese.

Clara: Ok.

Anna: All’epoca era difficile per noi, e soprattutto per me a 12 anni,

uscire fuori a giocare con altri bambini.

Era abbastanza difficoltoso perché mi rendevo conto di non poter comunicare.

La voglia di incominciare la scuola era tanta,

però abbiamo dovuto aspettare qualche mese.

In quel mese noi, come tutti i bambini, guardavamo la TV.

Anna: Ok? Clara: Certo.

Clara: Certo.

Anna: Guardavamo la TV,

io a quell’età guardavo anche qualche film, qualcosa del genere.

E una delle prime cose che ho notato,

che è la netta differenza tra l’Italia e la Serbia,

è proprio il fatto di guardare film doppiati,

quindi in lingua italiana, giusto?

Clara: Certo.

Mentre in Serbia non è così, giusto?

Anna: In Serbia non funziona così.

I film sono in lingua originale.

Ho visto tutti i film americani in lingua originale con i sottotitoli, ok?

Clara: Ok.

Anna: Questo magari è un aspetto che

un popolo come il nostro che ha questa predisposizione

per la lingua inglese, è dovuta anche a questa cosa.

Tanti bambini non sanno neanche leggere finché non iniziano la scuola

sono abituati ad ascoltare in lingua inglese,

ad ascoltare quei film, e quindi a farsi l’orecchio.

Quindi ad abituare l’orecchio ad ascoltare quel film in lingua madre.

Un po’ per tornare indietro,

io quando arrivo in Italia dico:

Cavoli, ma quindi qui non ci sono i sottotitoli.

Oppure: “Se fossero stati in inglese forse avrei capito qualcosa in più”.

Lì sei costretto, ma bene

perché è un metodo che mi ha aiutato tantissimo

a guardare anche perché, appunto, non andando a scuola,

non avendo amici,

si stava abbastanza davanti alla televisione.

Quindi è stata una buona partenza perché

abitualmente ascoltavo in italiano film, cartoni e via dicendo.

Clara: Ecco, questa cosa è interessante

perché tu, nonostante vivessi in Italia e potessi uscire a parlare con le persone,

non andando a scuola e non avendo conoscenti con cui parlare,

hai imparato l’italiano come fanno tante persone che lo imparano all’estero.

Cioè guardando i film e le serie tv.

Anna: Sì, in poche parole sì.

Anche se inizialmente mi ricordo che la cosa era abbastanza comica.

Ti trovi a guardare persone fare battute, sorridere,

scambiare frasi,

e tu sei lì che guardi e dici:

Ok, sto guardando un qualcosa di cui non capisco assolutamente nulla.

In realtà è una cosa che poi piano piano viene da sé.

Io non me lo so spiegare da un punto di vista esperto.

Per esperienza so che pian piano

il tuo cervello comincia ad abituarsi a quel suono,

comincia ad associare, a captare alcune parole

e poi piano piano a capire il contesto del discorso,

pur non sapendo e non capendo esattamente ogni singola parola.

Però è una cosa che viene naturalmente, insomma.

Secondo me è una cosa quasi naturale.

Ad oggi potrei dire che è un percorso naturale,

quindi non mi fa nemmeno paura il pensiero di ritrovarmi in una situazione simile,

magari trovarmi un altro paese,

ripartire da zero e quindi dover imparare un’altra lingua.

Forse perché è un’esperienza che ho vissuto.

Clara: Certo, ormai hai il tuo metodo che è testato.

Quindi lo puoi riutilizzare con altre lingue, volendo.

Anna: Sì, anzi il mio consiglio è anche per chi

si trova a farlo perché si è trasferito per lavoro,

perché si trova in una situazione dove è quasi

“costretto” a dover imparare la nuova lingua.

Il mio consiglio spassionato è proprio quello di buttarsi un pochino,

di non aver paura,

soprattutto quando nella fase iniziale ti rendi conto che

quella lingua ti sembra quasi impossibile da apprendere.

Quindi, il mio consiglio è di darsi del tempo,

di non aver paura nemmeno di sbagliare nel metterla in pratica,

perché comunque più la mettiamo in pratica più la usiamo,

più sbagliamo e più abbiamo anche la possibilità di capire l’errore,

di correggerci e quindi perfezionarla piano piano nel tempo.

Clara: Quindi ora in famiglia, con tua mamma o con tuo fratello

cosa parlate? Parlate in serbo, in italiano o un misto?

Come funziona?

Anna: Mi piace questa domanda, grazie per la domanda perché mi dà la possibilità

di dirti quello che è il mio pensiero rispetto a questa cosa.

Perché ormai siamo un mix, le famiglie sono miste,

i figli sono abituati a usare più lingue, a parlare più lingue.

Con me e mio fratello, essendo arrivati da piccoli,

soprattutto lui, si rischiava un po’ di perderla nel tempo questa lingua.

Considerando che noi eravamo a scuola, la mamma lavorava,

il tempo che poi ci rimaneva per stare insieme,

per parlare tra di noi, era sicuramente minore

rispetto al tempo che avevamo a disposizione per usare la lingua italiana.

Ci siamo un po’ imposti, passami il termine.

Ci siamo detti “Ok, in casa è importante parlare la nostra lingua,

è importante non perderla e tenerla viva in qualche maniera.

È chiaro che ci sono dei momenti dove

ci viene quasi più semplice inserire qualche parolina in italiano.

Questo soprattutto lo fa mio fratello.

Io mi rendo conto che quando lui lo fa, cioè inserisce qualche parola in italiano,

automaticamente anche io poi tendo a rispondere in italiano.

Diciamo che se ci senti parlare, senti un po’ una lingua ibrida a volte.

Clara: Un mix.

Anna: Esattamente, è un mix di diverse lingue.

Premesso questo, cerchiamo veramente di mantenerla,

di leggere magari degli articoli anche nella nostra lingua,

di leggere qualche libro nella nostra lingua soprattutto.

Questo immagino che lo sai, anche per le tue conoscenze riguardo le lingue,

è importante leggere perché in Serbia usano il cirillico.

A maggior ragione è importante non solo leggere nella nostra lingua,

ma leggerle scritte in cirillico.

Clara: Assolutamente.

Anna: Cerchiamo di mantenere questa cosa.

Io ho una bimba che nasce in Italia, è nata in Italia,

con la quale non ho spinto tanto

nell’usare la mia lingua, quindi la lingua madre.

Puoi immaginare che tantissime volte le mamme o i papà che sono bilingue

tendono a parlare con i figli fin da subito nella propria lingua.

Io un pochino questa cosa ho scelto di non farla,

forse perché per me era importante che lei sapesse comunicare sin da subito

con i suoi coetanei, con i suoi compagni in lingua italiana.

Clara: OK.

Anna: Per non trovarsi mai in difficoltà rispetto a questo.

È chiaro che per il discorso che ci siamo fatti prima,

un po’ per l’orecchio che man mano si abitua a forza di ascoltare una lingua,

la stessa cosa vale anche per mia figlia.

Cioè lei è abituata ad ascoltare la mamma

che parla con la nonna o con lo zio in lingua serba.

Diciamo che è abituata e anche avvantaggiata nell’assorbirla.

Magari si vergogna a usarla con me, però qualche parolina la usa ogni tanto.

Sicuramente è una lingua che cercherò di trasferirle nel tempo,

però non ho forzato la mano in questo senso.

Clara: Ok quindi il serbo che conosce tua figlia

è solo quello che sente parlato da te o comunque dalla tua famiglia

oppure a volte magari guarda qualche cartone o qualcosa in serbo?

Anna: In realtà è più un discorso di sentirlo in famiglia.

Poi avendo tantissimi parenti ancora lì, cugini, zii che vivono in Serbia,

alla classica videochiamata che ci fanno i parenti per parlare con noi,

lei per partecipare a queste riunioni in videochiamata

è portata magari a dover dire qualche parolina

o di captare, di capire qualcosa in più di quello che dice il nonno, la zia…

In realtà è sempre perché si rapporta con noi.

difficilmente chiede di vedere qualcosa in serbo.

Piuttosto in inglese sì,

però in serbo ancora non sente questa forte esigenza.

Quindi non so se è una cosa che cercherò di fare con naturalezza

come l’ho vissuta io, cioè non deve essere per lei un obbligo.

Sicuramente la curiosità c’è, la predisposizione c’è

e c’è anche la fortuna di avere noi che tra noi continuiamo a usarla come lingua.

Clara: Perfetto, fantastico.

Diciamo che hai voluto che tua figlia imparasse l’italiano per poter comunicare,

perché nella tua vita la comunicazione è una cosa che ti sta molto a cuore, no?

Anna: Assolutamente sì.

Giusto per concludere questo discorso delle lingue perché ho sempre visto,

sono scelte eh, però ho sempre visto un po’ una cosa anomala

una famiglia che viene da un altro paese con i figli che nascono in Italia,

nei primi anni non sanno parlare ancora italiano.

Non andando a scuola interagiscono

solo in lingua d’origine dei genitori, giustamente.

Quindi si trovano magari in un parco, in un giardino

a non poter comunicare con altri bambini.

Quindi questa è un po’ una scelta mia del tutto personale.

Per me era importante questa cosa.

Detto questo, giustamente tu hai sottolineato

quanto la comunicazione per me è fondamentale e importante.

Penso che

ogni lingua ha la sua parte bella, la sua parte poetica,

ma fatto sta che ovunque ci troviamo, in qualsiasi Paese ci troviamo,

qualsiasi lingua vorremmo imparare un domani

per poter comunicare con le persone di quel posto,

sono sempre dell’idea che c’è tanto, c’è tantissimo.

Cioè, oltre a impararla correttamente,

c’è tanto altro che poi nel tempo si acquisisce

per poter comunicare, usare quella lingua per farci capire,

per essere più chiari possibili

e per veicolare e portare avanti quello che è il nostro messaggio.

Io sì, l’ho fatto diventare un lavoro.

Quindi in realtà mi guardo indietro e dico

quella bambina che era davanti alla televisione

e guardava con gli occhi sgranati

perché non capiva niente di quello che dicevano in TV,

oggi invece si trova a farlo in maniera minuziosa,

a farlo in maniera dettagliata

perché mi occupo di marketing e comunicazione di un brand italiano,

un brand fiorentino di cosmetici.

Quindi nel tempo ho dovuto coltivare,

leggere tanto, formarmi tanto.

Non si smette mai, quindi non è che ho smesso, anzi!

Nel momento in cui pensi di sapere tutto è lì che scopri che ti manca qualcosa.

Quindi sicuramente comunicare nel modo giusto,

trasferire il proprio messaggio in maniera semplice però chiara,

in maniera concisa,

questo per me oggi è un lavoro, assolutamente.

Quindi, guarda un po’ una lingua che non è mia

in realtà è diventata a tutti gli effetti mia.

Io penso, ragiono in italiano,

cerco di curarla, di arricchirla come lingua sempre di più, questo sì.

Clara: Fantastico.

Io ti ringrazio tanto Anna per questa chiacchierata.

Mi ha fatto molto piacere.

Spero anche che le persone che stiano ascoltando questo podcast la apprezzino.

Anna: Grazie a te Clara, grazie per la tua disponibilità,

per il tuo lavoro, e per il tuo modo di approcciarti e di comunicare.

Clara: Grazie mille, Anna, ciao. Anna: Ciao a tutti, ciao.

Danilo and Rita – La Costa Concordia come il Titanic (Parte 2)

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–Anche sul Titanic le cose sono andate più o meno così, infatti il capitano ha dato l’allarme di evacuazione della nave con molto ritardo e questo non ha consentito a molte persone di potersi portare sui ponti e salire sulle scialuppe.

Va considero però che le scialuppe potevano portare al massimo 1200 persone e sulla nave ce n’erano oltre 2000 di conseguenza vuol dire che 1000 persone inevitabilmente sarebbero colate a picco con la nave stessa.

Questo non avrebbe dovuto assolutamente accadere.

Teoricamente sulla nave dovevano esserci le scialuppe per poter salvare tutti i passeggeri che erano a bordo della nave.

Va considerato anche che a differenza della nave Costa Concordia , che si trovava a brevissima distanza dalla costa il Titanic invece si trovava in alto mare e a quei tempi le radio non erano ancora così perfette come al giorno d’oggi di conseguenza l’unico sistema per poter inviare dei messaggi era ancora attraverso dei marconigramma ossia tramite l’alfabeto Morse.

Che anche il comandante della Concordia non ne abbia combinata una giusta questo ormai è risaputo.

Innanzitutto il fatto che non abbia dato l’allarme subito, cioè quando ancora la nave era posizione verticale, e se avesse dato, appunto, l’allarme immediatamente si sarebbero salvati tutti.

Invece ha dato l’allarme un’ora e mezza dopo quando ormai la nave pian pianino incominciava ad inclinarsi sul fianco e per fortuna che l’acqua era molto bassa perché c’erano solo 20 metri di profondità dell’acqua e la nave si è adagiata sul fondo perché se non fosse stato così la nave sarebbe colata a picco completamente portando con se le 4200 persone che c’erano a bordo.

–Ma di più, il fatto di essere vicini a riva ha facilitato le manovre di recupero perché le barche di salvataggio andavano e venivano velocemente e quindi potevano prelevare le persone molto velocemente.

Quindi questo è stata una fortuna.

L’altro problema, l’altro mistero è ancora lo scambio di informazioni che il comandante ha avuto con la terra, sia con la Capitaneria di Porto sia, soprattutto, con la Società Costa Crociere, e perché li può giocarsi una grande parte del processo, ossia quale è stata la reale responsabilità della Costa Crociere nei ritardi della chiamata di soccorso.

È vero, come dice il comandante che la Costa Crociere gli ha intimato di ritardare la richiesta di soccorso?

Oppure no?

È vero che lui ha minimizzato oppure, come dice lui, non ha minimizzato affatto però hanno minimizzato gli armatori?

–La Capitaneria di Porto è stata quella che ha risolto la situazione, perché l’assurdo è che le prime chiamate di soccorso che sono arrivate alla Capitaneria di Porto sono state quelle lanciate dai passeggeri.

Alcuni passeggeri hanno chiamato i Carabinieri annunciando che c’era un guaio e non si riusciva a capire cosa fosse su questa nave, i Carabinieri hanno chiamato la Capitaneria la quale Capitaneria ha chiamato la nave.

Assurdo è che il capitano gli ha detto che andava tutto bene, ma la Capitaneria, evidentemente, allarmata da tutte queste chiamate dei passeggeri ha insistito, insistito, insistito finché è saltata fuori la verità e da quel momento che sono partite tutte le navi di soccorso perché se si aspettava ancora il capitano a quest’ora erano affondati veramente tutti.

È una cosa assurda!

Come si è comportato questo capitano è stata una cosa veramente vergognosa!

Oltre al fatto che è scappato dalla nave prima ancora prima che tutte le persone fossero messe in salvo.

–Si, molto presto se ne è andato dalla nave e anche questa è una cosa inspiegabile perché forse, adesso non è che lo voglia scusare, ma l’aveva fatta talmente grossa che probabilmente ha pensato alla fuga.

Poi è rimasto lì però più che abbandonare la nave per paura di affondare secondo me è era perché voleva scappare.

Quale sia stata la sua motivazione non è chiaro fatto sta che le imprese del comandante Schettino sono apparse poi per giorni sui quotidiani di tutto il mondo e l’Italia, un’altra volta, ci ha fatto una figura pessima.

Questo è molto spiacevole perché è vero che Schettino veramente è ineffabile però è anche vero che tanti altri marinai e tanti altri ufficiali a bordo si sono comportati in maniera eroica e quindi non è che il fatto che ci sia una persona di cattiva qualità dica molto di negativo su di noi.

–Sul fatto che il comandante della Costa Concordia non si sia comportato in modo esemplare questo è vero, però la stampa estera non può e non ha il diritto affermare che tutta la Marina Italiana sia come il Comandante Schettino, questo non è assolutamente vero.

Ad esempio non dobbiamo dimenticare l’eroico Comandante Piero Calamai, al comando del transatlantico Andrea Doria.

Il 25 luglio 1956 la nave Andrea Doria viaggiava alla volta di New York, proveniente da Genova.

Contemporaneamente, una nave di nazionalità svedese, la Stockholm, un transatlantico per il trasporto promiscuo di merci e passeggeri, si dirigeva verso l’Europa.

Presso le coste americane entrambe le navi stavano per incrociare un corridoio molto trafficato, oltretutto coperto da una fitta coltre di nebbia.

Nascoste dalla nebbia, le navi si avvicinarono, guidate solo dalle reciproche informazioni dei radar, le quali però non furono sufficienti ad evitare la imminente tragedia.

L’Andrea Doria e la Stockholm entrarono in collisione con un angolo di quasi 90 gradi, la prua rinforzata della Stockholm che era un rompighiaccio sfondò la fiancata dell’Andrea Doria e la squarciò per quasi tutta la sua lunghezza L’inchiesta successiva al naufragio stabilì che l’Andrea Doria tentò di evitare la collisione virando a sinistra, mentre la Stockholm non fece nessuna virata.

Tra le due navi non ci fu alcun contatto radio, e una volta giunte a potersi vedere ad occhio nudo, fu troppo tardi per praticare contromanovre atte ad evitare l’impatto.

La nave Andrea Doria, con una fiancata completamente squarciata, si coricò su un fianco.

L’inclinazione della nave rese inutilizzabili metà delle scialuppe, proprio come avvenne con la Costa Concordia ma proprio dall’esperienza del disastro del Titanic erano state migliorate le procedure di comunicazione di emergenza e si poterono chiamare altre navi in soccorso, inoltre le procedure e le manovre di evacuazione furono veloci ed efficienti.

Infatti grazie alle tempestive e corrette manovre del Capitano e dell’equipaggio quasi tutti i passeggeri sopravvivessero, purtroppo morirono 46 passeggeri, tutti quelli che erano alloggiati nelle cabine investite dalla prua della Stockholm.

La responsabilità dell’incidente è stata attribuita ad un’errata lettura dei dati del radar da parte dell’unico ed inesperto ufficiale svedese in servizio al momento della sciagura, a fronte di una lettura corretta da parte di tre ufficiali di grande esperienza e del comandante dell’Andrea Doria.

Inoltre il timoniere della Stockholm era notevolmente inesperto ed era costretto a correggere continuamente la rotta, e questo avrebbe contribuito a causare un’errata lettura dei radar.

In seguito è emerso che c’era anche una progettazione sbagliata dell’ambiente dove si trovava il radar della nave svedese: poco illuminato e con strumenti di difficile lettura.

Secondo alcuni studiosi una semplice lampadina sul radar avrebbe evitato l’intera tragedia.

Danilo and Rita – La Costa Concordia come il Titanic (Parte 1)

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Danilo: Il Titanic era una nave passeggeri britannica, divenuta famosa per la collisione con un iceberg nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912, e il conseguente drammatico affondamento avvenuto nelle prime ore del giorno successivo.

Il Titanic, fu progettato per offrire un collegamento settimanale con l’America e garantire il dominio delle rotte oceaniche alla White Star Line.

Questo colosso del mare rappresentava la massima espressione della tecnologia navale ed era il più grande e lussuoso transatlantico del mondo tanto è vero che i progettisti dichiararono che la nave era praticamente inaffondabile ma durante il suo viaggio inaugurale, entrò in collisione con un iceberg e alla fine affondò.

L’impatto provocò l’apertura di alcune falle lungo la fiancata destra del transatlantico, che affondò 2 ore e 40 minuti più tardi spezzandosi in due tronconi.

Nella sciagura, la più grande tragedia di tutti i tempi della storia della navigazione marittima, persero la vita 1500 persone degli oltre 2200 passeggeri imbarcati che erano compresi anche 800 persone di equipaggio

La nave partì per il suo primo e unico viaggio esattamente il 10 aprile del 1912 dall’Inghilterra verso New York, ed era comandata dal Capitano Edward John Smith.

Per lui, il viaggio del nuovo transatlantico costituiva l’ultimo comando prima di andare in pensione, e rappresentava il coronamento di una lunga e brillante carriera durata 40 anni.

Esattamente alle 23 e 35, le vedette videro un iceberg di fronte alla nave.

L’avvistamento avvenne a occhio nudo, a causa della mancanza dei binocoli, e quindi l’avvistamento avvenne in ritardo.

La mancanza dei binocoli – si appurò poi più avanti – era imputabile alla fretta di dover partire nei tempi previsti, ragione per cui non furono distribuiti già a bordo prima della partenza.

Dopo l’avvistamento, il Primo Ufficiale virò immediatamente a sinistra ordinando di mettere le macchine indietro tutta, ma la nave viaggiava alla velocità di circa 22 nodi e non riuscì a rallentare in tempo per evitare l’impatto, in virtù anche dell’inerzia di cui era soggetta la massa del transatlantico.

Tutto questo discorso per dirti che a distanza esatta di 100 anni un altro transatlantico delle dimensioni del

Titanic, anzi forse qualche cosina di più, ha subito, più o meno la stessa sorte e stiamo parlando del Costa Concordia.

Quello che non capisco è che nel 2012 una nave di questa stazza con 4200 persone a bordo possa subire un incidente come quello che ha subito il Concordia.

Rita: Una cosa ti sei dimenticato di dire ed è che il Titanic era stato pubblicizzato come inaffondabile perché aveva delle paratrie stagne che suddividevano la stiva in modo tale che si potesse fare fronte a delle falle.

Il problema è che inaffondabile non era affatto perché lo squarcio era così lungo che le paratie stagne non servivano a nulla perché l’acqua entrò in diverse paratie stagne.

Il problema è stato con il Costa Concordia ancora lo stesso, ossia lo squarcio era così lungo che è entrata acqua in due paratie stagne che è il massimo possibile per evitare l’affondamento.

Quindi da allora da questo punto di vista non è cambiato assolutamente nulla.

Quello che invece avrebbe dovuto cambiare sarebbe stata la strumentazione di bordo che permette perfettamente di vedere se ci sono degli ostacoli.

Quindi la cosa inspiegabile è proprio come sia stato possibile bypassare tutta quella strumentazione di bordo.

Danilo: Infatti il Titanic era un gioiello di tecnologia ed era ritenuto praticamente inaffondabile.

La chiglia era dotata di un doppio fondo cellulare e lo scafo era suddiviso in 16 compartimenti stagni, le cui porte si potevano chiudere automaticamente dal ponte di comando.

Questi comparti, però, non attraversavano tutta l’altezza dello scafo ma si fermavano al ponte più basso.

Il Titanic avrebbe potuto galleggiare anche con due dei compartimenti intermedi allagati oppure con tutti i primi quattro compartimenti di prua allagati.

Lo scontro con l’iceberg però causò l’allagamento dei primi cinque compartimenti prodieri per cu la nave non reggendo al peso dell’acqua imbarcata affondò.

Ma aveva anche un altro difetto il Titanic, la qualità dell’acciaio, che non era perfetta ai tempi, non riuscivano a produrre un acciaio abbastanza consistente.

Oltretutto quello che era utilizzato aveva il difetto che con le basse temperature diventava fragile per cui è stato un attimo poter aprire lo squarcio nella nave.

Però, appunto come hai detto, cento anni fa la strumentazione di bordo era praticamente inesistente, il Costa Concordia che è una nave nata nel 2006 per cui corredata della massima tecnologia elettronica possibile ed inimmaginabile con i sonar che sono in gradi di visualizzare la costa in tre dimensioni come abbia fatto a sbattere contro uno scoglio questo qui per me rimarrà sempre un mistero.

Rita: Ma, dunque, il comandante ha detto che ad un certo punto ha deciso di navigare a vista, questo perché, secondo me poi chissà che cosa verrà fuori, era talmente vicino a riva che sarebbe andato tutto in allarme per cui probabilmente ha spento tutto perché non poteva fare diversamente ed è andato a vista basandosi sulle mappe.

Quello che non ci si spiega è, va bene andare a vista ma tutti gli altri che erano in plancia con lui cosa facevano?

Danilo: È questo quello che si stanno chiedendo tutti.

Ora, non era soltanto il capitano a pilotare una nave di queste dimensioni, calcoliamo che è una nave lunga trecento metri viaggiava alla velocità di oltre 20 nodi e puntava dritto verso l’isola per fare questo famoso inchino.

Praticamente l’inchino è un passaggio a breve distanza dalla costa con tutte le luci accese, con tutto il fasto della nave per farsi un po’ di pubblicità e far vedere, insomma, la bellezza di questa nave che è veramente bella a vedersi fuori e stupenda a vedersi dentro.

Ora, insieme al capitano c’erano, appunto, anche il secondo e c’erano pure altre persone.

Calcola che questa nave ha su diversi radar, diversi ecoscandaglii e qui che tutti si chiedono come mai nessuno sia intervenuto quando saranno suonati gli allarmi.

Questi ecoscandaglii hanno un sistema di allarme che se ti avvicini troppo oppure il pescaggio della nave diventa pericoloso immediatamente lanciano subito un allarme perché si provveda, ma sembra che la velocità sia stata talmente elevata che non abbia fatto in tempo a virare e di conseguenza ha creato uno squarcio di oltre 70 metri nel fianco della nave.

Rita: Mah, si capirà poi probabilmente con la scatola nera e anche con le registrazioni video che sono state recuperate, e poi anche li si è incominciato a dire che la scatola nera non funzionava perché quando è andato in blackout, c’è stato un blackout quasi subito ha smesso di funzionare un sacco di strumentazione ed in particolare anche tutte le luci interne e hanno smesso di funzionare e sembra non ci fossero dei generatori ridondanti per supplire almeno alle luci principali.

La cosa più impressionante è che hanno smesso di funzionare anche le serrature elettroniche per cui molta gente è rimasta chiusa nelle cabine.

Danilo and Rita – Avventure in mare (Part 2)

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E si, io non sono una molto coraggiosa però lo stesso mi piace l’idea, mi piacciono, infatti, mi piacciono tantissimo quelle barche che ci sono nei moli, gli yacht non mi piacciono affatto, mi piacciono quelle da pescatore quelle con quella specie di cappuccio in cui tu poi scendi all’interno della barca, ci sarà una cuccetta qualche cosa per dormire.

Quelle li mi piacciono quelle dei pescatori.

Eh ma infatti questa barca è fatta così, ha la cabina in alto, sotto ci sono le cuccette per dormire, la cucina e il bagno, era veramente una bella barca ecco!.

Ma l’avventura non è finita qua!

Poi, allora, siamo scesi lungo l’Italia, abbiamo passato il canale di Sicilia e anche lì, insomma, ce la siamo vista brutta perché il canale di Sicilia ha un dislivello tra il mar Tirreno e il mar Ionio di circa un metro e mezzo due metri, e vedevi questa tremenda onda che veniva avanti, che veniva avanti e non riuscivamo a capire e infatti c’è proprio un salto come una cascata.

Non mi l’aspettavo!

Abbiamo poi passato tutto il mar Ionio e anche qui abbiamo subito due avventure.

La prima è che ad un bel momento abbiamo visto un sacco di delfini che si avvicinavano alla barca proprio saltavano, li vedevi da lontano, saltavano, saltavano, saltavano venivano vicino alla barca.

Addirittura due si sono affiancati alla barca e ho potuto accarezzarli da tanto erano proprio contro la barca, stavano li un po’ poi saltavano e andavano via

Giocavano, giocavano!

Giocavano, giocavano si, giocavano con noi in sostanza.

Arrivati però in fondo al mar Ionio… allora tu sai che il golfo di Taranto che è un golfo molto vasto perché, diciamo e il tacco dello stivale dell’Italia.

Lì non potevamo bordeggiare se no la cosa diventava lunga no?

e allora ci siamo detti “ va bene dobbiamo fare una tirata” perché di giorno noi viaggiavamo, di notte ci fermavamo nei porti, in quel caso abbiamo detto il viaggio era di un giorno e una notte dobbiamo farla in una tirata sola.

Dobbiamo fare a turno chi sta al timone in modo tale da permettere agli altri di dormire.

Facevamo turni di due ore.

Va bene, partiamo arriva notte e ci inoltriamo nel golfo di Taranto.

Stiamo viaggiando, ero io al timone e controllavo il radar, ad un bel momento sul radar tac si vede il puntino di una nave.

Sarà una nave che viaggia nel golfo, ovviamente c’è il golfo di Taranto che è un porto commerciale molto battuto.

Questo puntino qui ad un bel momento sparisce e ne compaiono altri due, mah, dico, cosa succede c’è il radar che sta dando i numeri!

Spariscono questi due puntini e ne compaiono quattro!

Chiamo il mio amico e dico “ guarda qui c’è qualche cosa che non va nel radar perché continuo vedere navi che vanno e che vengono!” Va bene, viaggiamo, viaggiamo ad un bel momento sentiamo un grosso ribollire di acqua, che mi è venuto il cuore in gola non riuscivo a capire cosa fosse!

Era niente popò di meno di un sottomarino militare che si era alzato di fianco a noi per vedere chi erano quegli imbecilli che di notte stavano attraversando il golfo di Taranto!

Ecco cos’erano quei puntini lì!

Erano semplicemente delle manovre militari

Mammamia!

di sommergibili che venivano in superficie oppure andavano sotto per cui ad un bel momento il radar li vedeva poi non li vedeva più!!

Insomma anche questo…

E così hai visto da vicino un sommergibile!

da vicino un sommergibile, infatti…

Quanto era lungo?

Mah, sarà stato lungo una cinquantina di metri

Però!

Perché è venuto di fianco a noi a venti, trenta metri per cui il ribollir dell’acqua è stato veramente… cioè mi sono accorto che era un sommergibile soltanto quando ho visto la torretta spuntare.

Certo.

Perché di notte non avrei neanche visto il periscopio!

Ci han guardato, visto che evidentemente era una nave, cioè era una barca più che nave la nostra, da crociera e ci han lasciato andare.

Non vi hanno detto niente, insomma!

Non ci hanno detto niente e ci hanno lasciato andare, queste sono state le avventure mie in mezzo al mare.

Ma vedi cosa è bello, che queste sono le stesse avventure che gli uomini hanno vissuto da migliaia di anni.

Ad esempio il passaggio dello stretto di Messina è quello che veniva rappresentato da Scilla e Cariddi, che erano questi due mostri leggendari che cercavano di fare affondare le navi.

Perché?

Perché questo dislivello tra i due mari c’è sempre stato ed è sempre stato causa di gravi problemi per le navi, e poi anche tutta la storia di Ulisse è ambientata nel mediterraneo.

Quindi il fatto che lui abbia avuto tempeste che lo hanno buttato sulle isole ha fatto un sacco di naufragi racconta questa storia di naviganti che è bellissima, non solo, ma poi nella divina commedia il tredicesimo canto dell’inferno racconta proprio la storia di Ulisse che stufo di stare ad Itaca dopo che è tornato a casa decide di fare un altro viaggio perché era il tipo che non poteva stare lì in pantofole.

E allora prende i suoi uomini migliori e decide di andare oltre le colonne d’Ercole, ossia oltre lo stretto di Gibilterra che allora era non era mai stato superato perché si pensava che al di la dello stretto di Gibilterra ci fosse la fine della terra, la fine del mondo no?.

E infatti li racconta proprio che passate le colonne d’Ercole un enorme gorgo lo prende e lui vede, prima di scivolare nel mare vede la montagna dell’inferno che è quella che poi racconta Dante, in cui Dante poi lo trova.

Ma, in effetti, prima di Cristoforo Colombo lo sai che tutti pensavano che la terra fosse piatta e oltre lo stretto di Gibilterra non ci andavano.

D’altronde il mar Mediterraneo è un mare chiuso e rispetto all’oceano è un mare molto tranquillo per cui non si fidavano andare nell’oceano proprio perché lì le cose erano ben diverse.

Quando c’erano le tempeste, diciamo il mare inghiottiva le navi per cui non si fidavano ad andare oltre.

Si, in realtà lo sapevano che la terra non era piatta a quei tempi però tanto è vero che c’erano dei commerci dal Portogallo arrivavano fino alle Canarie e fino alle coste dell’Africa, però di lì non si spingevano oltre, oltre Madera non andavano tanto è vero che Colombo è arrivato ha approdato su queste isole prima di poi di lanciarsi in un’avventura che effettivamente nessuno aveva mai provato.

Poi, in realtà, si è scoperto che i Vichinghi dall’alto erano già arrivati, probabilmente in Canada, Terranova e in Groenlandia, però la in alto era quasi.. era un tragitto molto più breve e quindi è molto probabile che ci fossero già arrivati, hanno trovato delle navi Vichinghe mi sembra in Groenlandia, poi la era tutto ghiaccio quindi ad un certo punto toglievano la nave e andavano a piedi!

Beh, però intorno all’Africa già ci viaggiavano perché viaggiavano sempre con la costa in vista, ma già lì viaggiavano.

Non si spingevano, appunto, in mare aperto.

È stato appunto il primo è stato Colombo che con tre navicelle, in fondo erano navi ne più ne meno come quella che ho viaggiato io e con queste si sono spinti nell’oceano.

Per cui devono averne passate di cotte e di crude con quel viaggio tanto è vero che ad un bel momento avevano anche paura e volevano a tutti i costi tornare indietro.

Tre mesi ci hanno messo ad arrivare in America per cui viaggiando solo ed esclusivamente col vento la cosa doveva essere veramente dura come viaggio.

Ma lui era molto bravo, aveva fatto tutti i conti degli alisei di riuscire a tenere il vento sia all’andata che al ritorno era quello che poi ha permesso i viaggi perché inclinando le vele nel modo giusto riusciva a sfruttare i venti sia in un senso che nell’altro, altrimenti non ci sarebbe mai riuscito.

Però non è ammirevole lo forzo che lui ha fatto, lui chi ha messo anni, anni e anni fin da quando era ragazzino si è fissato con questa idea e nonostante abbia avuto decine di anni di no, ha insistito fina a che qualcuno alla fine l’ha finanziato.

Era proprio una sua fissazione e questo prova che bisogna essere molto convinti e molto determinati per riuscire nelle imprese più difficili.

Dopo di lui furono in tanti che ci andarono e fino a metà dell’ottocento hanno viaggiato sempre e solo esclusivamente a vela.

È soltanto dopo la metà dell’ottocento con i primi motori a vapore sono che nati i battelli ad elica e i viaggi diventavano anche molto più veloci.

Tu pensa quanti mesi ci volevano ad arrivare con le sole vele in America.

Ma mi sembra ci mettessero quaranta giorni, comunque era un bel tragitto poi ogni tanto affondavano infatti.

Però a me piacevano le storie tutti gli altri navigatori, dai fratelli Caboto fino a Vasco de Gama che ha fatto tutto il giro della terra.

Sono bellissime le storie di questi navigatori.